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Cinema Novo

2016
Titolo Originale:
Cinema Novo
REGIA:
Eryk Rocha
CAST:
Nelson Pereira dos Santos
Carlos Diegues
Joaquim Pedro de Andrade

Il nostro giudizio

Cinema Novo è un film-documentario del 2016, diretto da Eryk Rocha

Il Cinema Novo brasiliano, a volerlo definire, o si ricorre alle catalogazioni scientifiche della Treccani o si rischia di dire il cumulo di banalità che si potrebbero ripetere a pappagallo disquisendo del neorealismo italiano e della Nouvelle Vague francese. Perché, in fondo in fondo, giriamo intorno a quelle stesse zone di pensiero, di teoria e quindi di pratica cinematografica. Novo, cioè nuovo, affrancatosi dalla tradizione, tanto per dire, della commedia leggera e musicale che in Brasile chiamavano Chanchada e che aveva tenuto banco negli anni Quaranta e Cinquanta. Così, incardinato al periodo della presidenza di João Goulart, fino al 1964, germoglia questo movimento che porta le macchine da presa verso, anzi dentro la realtà nella sua forma più cruda e nuda ed essenzializzata, penetrandola e incintandola, però, sempre con la fantasia. Gridavano, i cinemanovisti, “una cinepresa in mano e un’idea nella testa”: questo bastava a ridurre il mondo circostante a cinema. Erano molto agguerriti, determinati, infervorati. Anche incazzati. Glauber Rocha lo hanno sentito nominare tutti, almeno una volta, al netto del fatto di averne visto qualche film – Antonio das Mortes (1969) è il minimo che si possa richiedere come cultura generale a un cinefilo. Fu la testa del movimento, ne scrisse il manifesto, nel 1965, che si conosce con il non proprio attraentissimo titolo di “L’estetica della fame”.

Il film documentario che arriva oggi in Italia dopo due anni (è del 2016), Cinema Novo, lo ha diretto Eryk Rocha, figlio di Glauber. Ed è un esempio di come all’interno di un genere istituzionale e ingessato si può compiere un’azione rivoluzionaria in osmosi con la materia di cui si tratta. Cinema Novo non fa preamboli, non perdee il tempo che di solito si perde per introdurre all’argomento i neofiti. Dei neofiti, anzi, se ne sbatte. Ha un approccio specifico e iniziatico a ciò di cui parla, utilizzando la forza forte del montaggio per sommergere lo spettatore di immagini anonime – o le conosci o ti arrangi -, che costituiscono i frammenti minimi dell’organismo del cinema nuovo. Le testimonianze sono ugualmente laconiche, didascalizzate con il solo nome e cognome di chi parla, dando per scontato che si sappia chi sia il loquente. O, forse, è, questo, un escamotage per fare balzare fuori le idee, prima e più di chi le esprime.

La risultante è qualche cosa di alieno e, persino, di inquietante. Un report da un mondo che sembra extraterrestre, lontano anni luce dal nostro, nonostante le immagini parlino di cose contingenti e concrete, di un universo in cui arte, utopia e rivoluzione celebrarono le nozze in seno a una generazione di idealisti convinti che il cinema fosse da prendere tremendamente sul serio, più di quanto è il potere che esso, obiettivamente, possiede. Una non discreta dose di fanatismo, che trapela dalle testimonianze sempre così certe, apoftegmatiche e vorrei dire ossessionanti degli intervistati, contribuisce ad aumentare il pregio di un’opera che si rivolge a una cerchia iniziatica e che può concedersi il lusso di saltare via i nessi. Una lexis eiromene che sarebbe piaciuta a un Alberto Cavallone, tanto per dire.