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Cargo

2017
Titolo Originale:
Cargo
REGIA:
Ben Howling, Yolanda Ramke
CAST:
Martin Freeman (Andy)
Caren Pistorius (Lorraine)
Simone Landers (Thoomi)

Il nostro giudizio

Cargo è un film del 2017, diretto da Yolanda Ramke e Ben Howling.

Nonostante gli anni siano passati, e con essi metri e metri di pellicola, non è ancora ben chiaro a molti come, nella terra dei canguri, i morti fatichino parecchio a restarsene zitti e buoni sottoterra, preferendo scorrazzare allegramente per il desolato e assolato outback a piantare un bel po’ di casini. Se nel lontanissimo 1988 il delirante Zombie Brigade spalancava orgogliosamente le porte (e le tombe) alla provvidenziale invasione di mangia carne a tradimento con passaporto australiano – padre non tanto nobile, a dire il vero, di figliastri di recente parto quali il didascalico Undead (2004) e il post-atomico Wyrmwood (2014) –, Cargo giunge come una sana e finalmente matura ventata di aria fresca nel pieno olezzo putrescente di un genere tutto sommato ancora vitale ma sempre a rischio di pestare il denso letame della mediocrità. E dire che tutto era iniziato parecchio in sordina e senza troppe vere aspettative nel 2013, quando gli esordienti Yolanda Ramke e Ben Howling (due nomi da tenere ben a mente per il futuro) presentarono trionfalmente il proprio omonimo zombi-corto di appena sette minutini nientepopodimeno che in finale al Tropfest Short Film Festival, raggiungendo ben 14 milioni di visualizzazioni su YouTube e passando in un baleno dall’anonimato agli allori della gloria. D’altronde si sa: è nella botte piccola che (di solito, ma non sempre) sta il buon vino.

Dunque il passo verso il successo era davvero a un tiro di sputo, soprattutto a seguito del grande interessamento dimostrato da Kristina Ceyon –  la tosta e coraggiosa tipaccia che aveva provvidenzialmente aperto il portafogli a quel piccolo miracolo di Babadook (2014) –, decisa più che mai ad ingaggiare gli stessi promettenti autori al fine di allungare sapientemente il guinzaglio alla loro creatura, nel mentre in cui il radar distributivo di Netflix si apprestava ad intercettare il tutto con la consueta lungimiranza paracula. Tutto si può dire dei sudditi di Sua Maestà d’Australia, tranne che, quando decidono di prendere in mano una macchina da presa, non lo facciano con criterio e sostanza. Dunque, non stupisce affatto che per dare lustro a questo Cargo sia stato scomodato addirittura il buon Martin Freeman, nel pieno dei fasti della recente esperienza da horror antologico di Ghost Stories e in verità già culo e camicia con i mattacchioni redivivi di L’alba dei morti dementi (2004). Con un piglio decisamente più serioso, l’ex Bilbo Baggings si trova qui a impersonare un grintoso ma disperato padre di famiglia che, nel mezzo della solita e non ben specificata apocalisse virulenta, a seguito di un incontro poco raccomandabile con una zombie-mogliettina dal morso facile (Susie Porter), si trova costretto a una rocambolesca corsa contro il tempo al fine di trovare un rifugio sicuro dove mettere al riparo l’indifesa pargoletta, il tutto prima di trasformarsi lui medesimo in un pericoloso e deambulante intenditore di tartare umana. Gli verrà in provvidenziale soccorso la giovane aborigena Thoomi (Simone Landers), rimasta da poco orfana di padre e decisa a ricongiungersi alla propria gente.

Dedicato alla memoria del celebre (almeno per gli addetti ai lavori) cantante folk australiano Dr. G. Yunupigu (al secolo Geoffrey Gurrumul Yunupigu) scomparso nel 2017, Cargo rientra a pieno titolo nella recente e interessante deriva dell’emotional zombie movie (suvvia, coniamoli pure ‘sti neologismi, no?!) sul modello di Contagious (2015) e The Girl with All the Gifts (2016), laddove un denso approfondimento psicologico da cinema esistenzialista finisce per prendere il sopravvento rispetto al consueto cacofonico macello di frattaglie e membra deambulanti. Come da manuale, anche qui, infatti, la genesi della piaga zombesca viene opportunamente relegata in secondo piano – pare forse centrare in qualche modo l’inquinamento ambientale o altre bagatelle del genere –, mentre al contempo di veri e propri non morti in libera uscita se ne vedono veramente pochi in giro. Ma quei pochi che hanno l’onere (e l’onore) di comparire sono certamente destinati a entrare a pieno titolo nell’imminente immaginario collettivo. Quando mai si sono visti, infatti, redivivi che se la ronfano bellamente con la cucuzza ficcata sotto la sabbia come struzzi e le chiappe al vento? Davvero uno spettacolo! Alla maniera di un dolente road movie della sopravvivenza dove i sentimenti vincono decisamente sulla carne da macello, Cargo giunge persino a far commuovere oltre che pensare, inoculando in sottotraccia un’immancabile sottotesto di critica etnico-sociale e lasciandosi letteralmente cullare dalla dolcezza disarmante della piccolissima protagonista, unico fondamentale ingranaggio dell’intera vicenda. Fanatici di The Walking Dead astenersi, grazie!