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Caniba

2017
Titolo Originale:
Caniba
REGIA:
Véréna Paravel e Lucien Castaing-Taylor
CAST:
Issei Sagawa

Il nostro giudizio

Caniba è un film del 2017, diretto da Véréna Paravel e Lucien Castaing-Taylor

Inquadratura fuori fuoco. In primo piano, il volto del mostro. Lui è Issei Sagawa, che nel 1981, mentre era uno studente alla Sorbona, uccise una sua compagna di università per poi mangiarsela poco alla volta con tanto di contorno a base di piselli e patate. Invece di finire in carcere a vita, però, l’antropofago ottenne l’estradizione e fu liberato pochi mesi dopo: Sagawa diventa una vera e propria celebrità locale, viene invitato in tutti i programmi televisivi, partecipa a un film di Hisayasu Sato (The Bedroom, 1992), e pubblica addirittura svariati libri di successo. Insomma, altro che Mondo Cane. Una storia agghiacciante che nemmeno nei peggiori numeri di Cronaca Vera, così come è agghiacciante lui, freak perdente tanto disgustoso quanto ansiogeno: faccia sfatta, occhi che viaggiano tra vuoto e collasso, parole biascicate un po’ a caso e la leggibile e macabra follia stampata su uno sguardo assente che supplica una barretta di cioccolato. Non fatevi ingannare: Caniba non è un documentario su Sagawa, nel senso che non ne documenta la vita o l’orrorifico omicidio.

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Piuttosto, l’opera di Véréna Paravel e Lucien Castaing-Taylor Lucien Castaing-Taylor odora di testimonianza antropologica mista a delirio, un puro sguardo ravvicinato come con gli animali più schifosi dello zoo, da contemplare con repellenza nel buio evocativo del grande schermo. Non si racconta né si ricostruisce nulla, si conversa tanto ma non si sa bene verso quale direzione, se non quella di una certa morbosità intimista nell’osservare Sagawa mentre viene spogliato pian piano dalle domande degli intervistatori. Lui è sempre zoommato fino a diventare una figura deformata nella grana, e ad alternarsi, in scena, sono dei lunghi momenti statici e alcuni inserti più grafici (abbiamo scene di masochismo e auto-flagellazione, ma anche un segmento porno con immancabili pixel censura), fino a un finale che è vero e proprio inno alla pazzia (in straniante modalità karaoke).

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Un’operazione più estetica che informativa, da vivere sulla pelle e quasi impossibile da raccontare: durante la proiezione stampa qui al Festival di Venezia c’è stato un vero esodo di gente che fuggiva dalle sale, alcuni annoiatissimi e altri infastiditi dalla freddezza blasé con cui si mostrano perversioni e feticismi; non li biasimiamo perché Caniba non è decisamente per tutti. Eppure, chi è in vena di un approccio diverso dal solito – darkissimo, aberrante, e spietato nella sua invadenza – si metta in prima fila.