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Bushwick

2017
Titolo Originale:
Bushwick
REGIA:
Jonathan Milott e Cary Murnion
CAST:
Dave Bautista (Stupe)
Brittany Snow (Lucy)
Angelic Zambrana (Belinda)

Il nostro giudizio

Bushwick è un film del 2017, diretto da Jonathan MilottCary Murnion

Cronache da una guerriglia urbana. Meglio, da una guerra civile in piena regola, che trasforma Brooklyn e i suoi cinque blocks in un terreno per scontri da strada sotto gli occhi di uno spettatore straniato e allineato con lo sguardo della protagonista, la giovane Lucy cui presta il piglio volitivo Brittany Snow. Dopo titoli di testa in cui è adottato il punto di vista impersonale delle milizie cittadine (immagini da elicottero, soggettive con canne di fucili mitragliatori incorporate), quest’ultima emerge dalla metropolitana e, nel prologo, si ritrova in uno scenario che, da pre-apocalittico, si trasforma lungo l’arco narrativo in post-apocalittico. Se i numeri primi dell’opera di Murnion e Milott sono da ricercare nell’ambientazione carpenteriana del dittico con Jena Plissken, lo sguardo adottato aggancia il trittico di La notte del giudizio: gli Stati Uniti hanno bisogno di mettere ordine, di fare pulizia, e le operazioni – inevitabilmente – degenerano. Nessun presupposto moralista, nessuna retorica e un finale che definire cinico è poco: buoni e cattivi si scambiano il testimone, i confini etici saltano come i militi ignoti che popolano le vie e i guerrieri della notte che si organizzano per contrastarli con la forza della disperazione.

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Questo survival movie metropolitano non fa sconti in termini di violenza, inquadrando in primo piano dita mozzate e ferite aperte da schegge di vetro, mentre l’angoscia cresce e il coinvolgimento emotivo diventa palpitante. Merito, soprattutto, di una scelta di messa in quadro che adotta il piano-sequenza come cifra del panico: Lucy e il suo corpulento neo-amico Stupe (il wrestler Dave Bautista, sempre più lontano dal ring e usato da Hollywood per ruoli muscolari) corrono e riposano, ripartono e rinculano, pedinati da una macchina da presa incessantemente in linea con il loro affanno. Ad eccezione del citato prologo e dell’epilogo notturno (l’azione si sviluppa nelle 24 ore) il campo visivo è ridotto a quello dei protagonisti, per cui lo spettatore non gode mai della conoscenza di un “piano generale”, né di quella degli avvenimenti a due isolati di distanza. Tutto è qui, è ora, in un presente teso e disperato dove uomini e donne sono la carne da macello di un conflitto nonsense.

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Certo, i personaggi principali sono psicologicamente troppo bidimensionali per poter rendere interessanti i molti, fluviali dialoghi che punteggiano le loro fughe centripete. Ma Bushwick è un film di regia e di ritmo, non certo di drammaturgia o di attori. E allora godiamoci quel senso di prossimità fisica (l’allineamento di sguardo) e teorica (la precarietà e il degrado cittadino che la post-modernità iper-globalizzata “da banlieu” ci ha consegnato chiavi (e armi) in mano) che il film riesce a stimolare, precipitandoci nell’azione (parentesi: gli effetti speciali non sono ricchi, ma funzionano) senza concederci tregua. Quello di Murnion e Milott è un lavoro contemporaneo, al passo coi tempi, che rende conto dell’instabilità di un nuovo (dis)ordine cui la realtà, ormai, è sfuggita di mano.