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Burning bright – Senza via di scampo

2010
Titolo Originale:
Burning bright
REGIA:
Carlos Brooks
CAST:
Garrett Dillahunt
Briana Evigan
Charlie Tahan

Il nostro giudizio

Burning Bright – Senza via di scampo è un film del 2010, diretto da Carlos Brook

Tyger ! Tyger! Burning bright In the forests of the night, What immortal hand or eye Could frame thy fearful symmetry? (“Tigre! Tigre! Divampante fulgore Nelle foreste della notte, Quale fu l’immortale mano o l’occhio Ch’ebbe la forza di formare la tua agghiacciante simmetria?”). Un b-movie americano che si permette di citare nel titolo un brano della misterica Tigre di William Blake, si presenta subito un gran bene e predispone ad attendersi qualcosa di affatto scontato. Speranza non disattesa. Intercettato casualmente, questo film diretto da tale Carlos Brook e scritto da due donne, Christine Coyle Johnson e Joilie Prendville Roux, invoglia a capire chi siano i suoi autori, a saperne di più. Lui, il regista, Brook, risulta avere diretto, oltre Burning Bright – Senza via di scampo, solo un lungo nel 2008, Quid pro quo. Mentre i nomi delle due sceneggiatrici sono associati in un film del 2009, An American Girl: Chrissa Stands Strong, un televisivo sul bullismo scolastico. Burning Bright – Senza via di scampo è la storia di una ragazza (Briana Evigan) con un fratellino autistico (Charlie Tahan): lei è un tipo che balza all’occhio, non bellissima ma interessante, con una particolare voce roca; interessante anche come personaggio, perché segue e accudisce il fratello come una madre – la loro è morta – ma di notte l’inconscio le fa fare dei sogni in cui entra nella sua stanza e lo soffoca con un cuscino. È umano e non prevedibile in un film del genere, un bel punto a favore.

Hanno un patrigno, i due, Garret Dillahunt che nella scena iniziale, in mezzo al deserto, acquista pagandola con moneta sonante una tigre dal tizio di un circo. La vuole tenere nello zoo privato annesso alla casa in cui vive con i due orfani? No, se ne vuole servire per fare fuori la Evigan e il fratello, riscuotendo un’assicurazione sulla loro vita. Gli elementi lo aiutano, nel senso che è in arrivo un tremendo uragano e le finestre della casa vengono chiuse con spesse assi di legno inchiodate. L’infamone, quindi, la notte prima del tornado, introduce la belva nella dimora e ne inchioda anche le porte, cosicché dentro restano sorella e fratello e quel “divampante fulgore” mangiatore di uomini. Ha senso che in Burning Bright – Senza via di scampo Brooks assommi e moltiplichi le furie: quella della tigre e quella dell’uragano, espressioni di una natura on rampage? L’idea era quella, verosimilmente, ma nella storia conta poco l’inferno che si scatena fuori e conta invece moltissimo ciò che accade nel labirinto delle stanze e dei corridoi domestici, dove comincia il gioco della caccia e sopravvivenza tra la bestia e gli umani.

Brooks è agevolato da una situazione obiettivamente angosciosa (una tigre in casa. Pensateci…) e da una brava interprete come la Evigan, ma il film è anche registicamente ben condotto, bilancia i pieni e i vuoti per creare la tensione, e non perde mai il controllo, nemmeno quando verso la fine i colpi di scena devono accelerare e infittirsi. Non che l’ultima matrioska sia chissà che, è prevedibile ma tanto più, quindi, se ne apprezza il modo di Brooks e compagnia di proporcela. La tigre (ne hanno utilizzate tre) è sempre vera, in tutte le scene di Burning Bright – Senza via di scampo, niente CGi e questo fa la sua bella differenza. Non è un film sanguinario, e anche questo va bene per il taglio squisitamente thriller della storia che sarebbe imbarazzante mettere sullo stesso piano dei consueti e volgari eco-vendetta di oggi. Mi ricorda per qualche non arcano motivo le atmosfere rarefatte degli Hammer House of Horror, forse per la suggestione del celebre episodio con Peter Cushing, The Silent Scream. Nella tradizione dell’eco-vendetta, di tigri non se ne sono mai viste tantissime, anzi, se prescindiamo da una serie di orribili film sugli smilodonti, realizzati con orrenda CGI, l’unico titolo che si può citare è Maneaters are Loose!, del 1978, per la regia di Timothy Galfas con Tom Skerrit protagonista.