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Ava

2017
Titolo Originale:
Ava
REGIA:
Léa Mysius
CAST:
Noée Abita (Ava)
Laure Calamy (Maud)
Juan Cano (Juan)

Il nostro giudizio

Ava è un film del 2017, diretto da Léa Mysius

Tredici anni: l’età complicata e problematica che molti, prima dell’esordiente Léa Mysius, hanno voluto descrivere. Ma sarà veramente così? Ava (Noée Abita), i suoi tredici anni, se li porta addosso cinicamente. Il volto corrucciato, il sorriso che esce a sforzo, quasi come una cicatrice formatasi improvvisamente, e quegli occhi scuri che non sanno o non vogliono piangere, neanche quando sarà emessa la loro condanna. Ava infatti si trova in vacanza presso una località balneare quando scopre che la sua vista è destinata a peggiorare progressivamente. Sua madre Maud (Laure Calamy), forse la vera tredicenne della storia, piange disperata mentre guida di ritorno dalla sciagurata visita: “Mamma, smettila. È imbarazzante”, la riprende la figlia col suo solito sguardo torvo. Parte tutto da qui, o forse no. Forse inizia da quel prologo magistrale a livello di regia, da quell’assolata spiaggia bianca dove fa capolino il cane nero Lupo, il quale sorprende la protagonista addormentata sugli scogli e ne approfitta per addentarle un po’ di patatine.

Ovviamente niente porta a niente. Lupo diventa l’ossessione di Ava, che vede nella bestia una possibile guida per affrontare da subito l’imminente cecità. È per questo che lo ruba al suo legittimo proprietario, il gitano Juan (Juan Cano). Nel frattempo però deve anche gestire l’altra adolescente, quella madre che si confida a lei come ad un’amica sulla sua nuova fiamma estiva. Una femminilità invadente da cui Ava si sente schiacciata proprio nel momento in cui è lei che sta sbocciando. Invadenza a cui risponde prima con l’insofferenza e infine con la ribellione più spietata, arrivando al punto di invitare tutti i ragazzini del posto ad assistere all’amplesso che Maud sta consumando con l’amante. Non che non ci sia paura da parte della ragazzina: in un’altra sequenza eccezionale, degna di Buñuel, assistiamo ad un incubo terrificante dove tutte le sue angosce vengono simbolicamente spiattellate, dall’oscurità che avanza all’ingombrante sesso materno. Ava però risponde nell’unica maniera possibile: lasciandosi andare alla vita. Così come con Lupo, si fa trascinare dal vento insieme al suo carro a vela verso la parte più deserta della spiaggia, arrivando alla scoperta del proprio corpo e all’incontro definitivo e fondamentale con Juan. L’estate dell’istinto è appena iniziata e Lupo, ora possiamo dirlo, ne era il messaggero in incognito.

Ava è dunque il racconto di un’adolescenza costretta a bruciare le tappe, che non può accontentarsi dei primi ed imbranati bacetti ai piedi di una giostra o sottostare alle ferree regole della morale occidentale. Qua si deve andare oltre: non ci sono Orazio o Lorenzo de’ Medici che tengano, non esistono motivazioni superficiali come quelle della Giovane e bella di Ozon. In Ava convivono piuttosto il tormento de Gli amanti del Pont-Neuf di Leo Carax e il moto rivoltoso de La rabbia giovane di Malick. Léa Mysius, che oltre ad essere brava regista è anche eccellente sceneggiatrice, rifiuta qualsiasi immedesimazione dello spettatore col personaggio, mostrando oggettivamente ciò che lo sguardo malmesso della sua giovane protagonista non può raccontare. La macchina da presa si muove e la segue, a volte mantenendo le distanze in stile documentaristico, altre volte avvicinandosi a quel viso così espressivo. Ed è proprio nell’ultima inquadratura, in quel sorriso in stop frame, che questa perla di film ci mostra il senso ultimo del viaggio di Ava: trovare la luce nel volto di un altro.