Featured Image

Apostolo

2018
Titolo Originale:
Apostle
REGIA:
Gareth Evans
CAST:
Dan Stevens (Thomas Richardson)
Michael Sheen (Profeta Malcolm)
Lucy Boynton (Andrea)

Il nostro giudizio

Apostolo è un film del 2018, diretto da Gareth Evans.

Per quei pochi fortunati che ancora posseggono il rarissimo dono della fede, la preghiera rappresenta la via regia attraverso la quale sperare di poter assistere alla manifestazione di un miracolo. Perciò, nel nostro piccolo, possiamo affermare con un certo orgoglio che l’aver strenuamente invocato l’intercessione della Beata Vergine, di suo figlio JC e dell’intera batteria celeste, alla fine ha ripagato pienamente se, dopo millanta e millanta olezzose boiate scaturite dal prolifico sfintere di Sua Eminenza algoritmica Netflix, alla fine si è avuta la possibilità di assistere al provvidenziale parto di qualcosa come Apostolo. Sia ben chiaro: da uno come Gareth Evans che, con due splendenti meteore filmiche come The Raid – Redemption e The Raid 2: Berandal è riuscito a riscrivere i connotati della cinematografia indonesiana e dell’action tout court, non ci si poteva certo aspettare nulla di meno. E appunto per essere all’altezza della propria folgorante fama, il Nostro ha scelto di abbandonare le steroidee coreografiche scazzottate da lui stesso brevettate per dar vita a un inquietantissimo e violentissimo folk-horror intriso di umidità e copiosa emoglobina fino al midollo, partendo dalle immancabili suggestioni parareligiose del seminale The Wicker Man per finire, lento e schiumoso, nel pieno di deliri esoterico-pagani di stampo lovecraftiano. Proprio come in una classica fiaba nera da gotico marinaresco, ci introduciamo immediatamente nell’aspra e impervia geografia della sperduta isola gallese di Erisden.

Il ruvido Thomas Richardson (Dan Stevens) si reca sotto mentite spoglie alla ricerca della sorella Jennifer (Elen Rhys), a quanto si dice rapita e occultata negli oscuri meandri di bigottissima comunità religiosa capitanata dall’invasato Profeta Malcolm (Michael Sheen), quest’ultimo prodigo a diffondere uno stranissimo Verbo non certo proveniente dal buon bambinello Gesù. Con l’aiuto del giovane Jeremy (Bill Milner) e della ribelle Andrea (Lucy Boynton), Thomas cercherà di penetrare il terribile culto proferito dalla setta, portando alla luce un segreto a dir poco inimmaginabile. Per tutti coloro che da Apostolo si aspettano un’opera perfettamente quadrata e priva di difetti, spiace comunicare che, purtroppo, non è affatto così, poiché, soppesando oculatamente pregi e difetti, a conti fatti il pareggio di bilancio appare la risultante più ovvia. Al pari di ottimi indici qualitativi – la gelida ed evocativa fotografia desaturata di Matt Flannery, la discreta recitazione generale e un succulento gore creativamente spinto che prende decisamente il sopravvento al superamento della prima orettina – , la brulicante creatura di Evans porta su di sé anche il peso di alcune macroscopiche crepe, provocate in primo luogo da una durata davvero eccessiva che, parallelamente a personaggi poco caratterizzati, finisce progressivamente per annacquare un seppur ottimo brodo narrativo, forse in grado di mantenere invariato il proprio stuzzicante saporino fino alla fine in una forma decisamente più concentrata.

Poco male, comunque, poiché il nostro poliedrico regista riesce appieno nella magia di apparecchiare dinnanzi agli occhi un racconto davvero immersivo e coinvolgente che, sfruttando appunto la propria natura di opera-fiume, muta continuamente genere e registro con calma disarmante, conducendoci con passo lento ma sostenuto nel cuore pulsante di un orrore sovrannaturale degno solo dei migliori incubi del celebre narratore di Providence. E volendo a tutti i costi evocare gli inimmaginabili e blasfemi universi ultramondani del grande H.P., non fosse che per l’azzeccatissima ambientazione storica d’inizio Ventesimo Secolo, Apostolo potrebbe certamente essere considerato, a suo modo, se non fratello almeno cugino di primo grado del suggestivo The Endless, in quanto detection collocata nelle intricate maglie di un’impenetrabile comunità adoratrice di entità non certo benevole vecchie quanto e forse più dello spazio e del tempo stessi. Troppo imperfetto per puntare al capolavoro e troppo qualitativamente strutturato per rimanere in ammollo nell’anonimo intrattenimento, questo piccolo inquietante progetto segna una delle poche vere oasi di speranza nell’ormai infecondo terreno distributivo di una piattaforma che ha davvero molto da farsi perdonare.