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American Horror Story: Cult

2017
Titolo Originale:
American Horror Story: Cult
CAST:
Sarah Paulson (Ally Mayfair-Richards)
Evan Peters (Kai Anderson)
Cheyenne Jackson (Dr. Rudy Vincent)

Il nostro giudizio

American Horror Story: Cult è una serie tv del 2017, ideata da Ryan Murphy e Brad Falchuk

Sebbene le tv via cavo dedichino quotidianamente ampi spazi a Trump e al suo operato, denigrando, criticando e lanciando accuse, il mondo delle serie televisive era rimasto una zona franca. Fino all’avvento di American Horror Story: Cult. Già nel prologo scorre veloce un montaggio di scene reali tratte dalle campagne elettorali  Democratica e  Repubblicana che culminano nella notte dell’8 Novembre 2016 quando viene reso pubblico lo scioccante risultato. La lesbica restauratrice Ally Mayfair Richards (la attrice icona di AHS Sarah Paulson, già premiata per ruoli in stagioni precedenti) immediatamente è presa da un attacco di ira mista a panico, incapace di accettare questo fatto. Contemporaneamente, in un sotterraneo, davanti a uno schermo gigante qualcuno sta esultando per i risultati: si tratta del paranoico Kai (Evan Peters, altro attore culto di questa serie, sempre perfetto  nella parte), che subito si reca da sua sorella Winter (Billie Lourd, figlia della mai dimenticata Carrie Fisher) gongolante: lei aveva votato per Hilary. Kai è un dichiarato razzista che, data la sua condizione mentale, esterna il proprio odio attraverso gesti clamorosi,  ad esempio, riempire un preservativo di urina e gettarlo addosso ad un gruppo di ispanici; nelle sue sembianze stravaganti e a tratti raccapriccianti rassomiglia  a un pagliaccio squallido e impoverito, e la sua figura viene ad aggiungersi alle numerose figure simili che imperversano nella vicenda a causa di una fobia di Ally che è colta da attacchi di panico paralizzanti alla vista di clown che sembrano essere, però, solo frutto della sua immaginazione. Questa fobia diventa lo strumento per riportare alla luce una bella parte del repertorio di AHS: il Freak Show di AHS 4, John Carrol Lynch nel ruolo del grottesco clown serial-killer senza mascella (riuscitissimo) che vedremo in azione in una scena generata dagli incubi di Ally, la migliore della prima puntata.

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Altri clown odiosi, di diverso aspetto, più simile a quello di umani orribilmente mascherati e dagli sguardi maliziosi, che brandiscono coltelli (arma che in questa stagione fa una bella concorrenza alla pistola) e che spesso vengono colti durante animaleschi atti sessuali, popolano le scene, lasciando dubbi sulla loro reale esistenza che però andranno sempre più chiariti con lo scorrere delle puntate. Quando poi Ally, in seguito a una visita psichiatrica, deciderà di tornare al lavoro dopo una fase di riposo, si creerà l’occasione per far entrare in contatto il suo mondo e quello di  Kai: la ricerca di una babysitter  per il figlio di Ally e di sua moglie farà cadere  la scelta su Winter, sorella di Kai, che si rivelerà per il bambino, già preda di incubi e visioni sanguinarie, una “maestra” di vita al passo con la situazione e che nasconde un passato non privo di esperienze  scabrose  e traumatiche. Eventi successivi metteranno in risalto la complessità della situazione che rispecchia quella attuale degli USA e non solo: un mondo in cui si ha paura dell’altro, dove la difesa personale a buon mercato sconfina nell’omicidio per futili motivi, quasi gratuito, e le armi sono di una reperibilità impressionante. Ma, soprattutto, in cui  la linea sottile che separa vittime e carnefici tende sempre più a scomparire, e i cancelli di ferro che rafforzano la sicurezza di chi si sente prigioniero a casa propria  simboleggiano la chiusura di un’umanità solo apparentemente  di ampie vedute, pronta ad accusare chi bistratta le minoranze ma poi parte attiva di un malato meccanismo di caccia alle streghe, o ai clown.

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E Kai stesso, indiscusso istrione di questa stagione, personaggio dalle tante sfaccettature che, con le sue frasi di grande impatto emotivo (“secrets are what make you weak”, “when was the last time you felt really safe?”), riesce a stringere legami ossessivi con alcuni suoi seguaci, sarà un paradossale paladino della libertà  e della sicurezza, in nome della quale i crimini più efferati non solo sono consentiti, ma necessari al sistema. American Horror Story: Cult si differenzia dalle stagioni precedenti, sempre schierate in maniera abbastanza evidente dalla parte delle minoranze e dei più deboli, incluse le streghe e i matti, presentandosi come uno show delle pari opportunità: la reazione irrazionale dei liberali è tanto feroce quanto quella del demente solitario seguace di Trump. Un’equità troppo lontana dalla realtà e dall’arte dove non si presenta mai cosi bilanciata, soprattutto quando nel mondo si svolge un horror-show reale che immediatamente e continuamente rischia di rendere irrilevante qualsiasi incubo rappresentato dai pur sempre ottimi Ryan Murphy e Brad Falchuk, che dal punto di vista della visionarietà in questa stagione si sono superati, a partire dalla sigla iniziale che si manifesta, ancora una volta, come una riuscitissima combinazione di immagini inquietanti (sangue, pagliacci, giostre, spaventose maschere di Donald Trump e Hilary Clinton) combinate alla ormai classica colonna sonora di Caesar Davila. Qualcuno afferma, a ragione, che AHS lo si ama o lo si odia: non sappiamo se questa stagione porterà nuovi seguaci alla serie, ma di certo sarà una conferma, per i suoi già accreditati followers, che la loro fiducia in esso  è stata fin qui  ben riposta.