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American crime story

2016
Titolo Originale:
American Crime Story: The People vs. O.J. Simpson
REGIA:
Scott Alexander, Larry Karaszewski
CAST:
Sarah Paulson (Marcia Clark)
Sterling K. Brown (Christopher Darden)
Kenneth Choi (Judge Lance Ito)

Il nostro giudizio

American crime story è una serie del 2016 ideata da Scott Alexander e Larry Karaszewski.

È una scelta coraggiosa quella di aprire  una serie tv con i filmati di repertorio della grande sommossa a sfondo razziale per l’assoluzione dei poliziotti che avevano pestato Rodney King; ma è una scelta necessaria per American Crime Story: The People vs. O.J. Simpson. Queste prime immagini dell’episodio pilota sono state messa lì in modo che gli spettatori potessero effettuare dei paralleli tra il clima razziale degli Stati Uniti negli anni ’90 e quello, pur sempre agitato, attuale – specialmente quando si tratta delle tensioni tra poliziotti e cittadini neri. Quasi un modo per avvertire il pubblico che la serie sarà più concentrata, a volte, sul tema delle tensioni sociali che sui ben noti fondamenti del processo a O.J.( il premio Oscar Cuba Gooding, Jr).

Il pubblico è già a conoscenza di particolari come il cane che quella notte abbaiava, la Ford Bronco bianca della fuga e la stessa assoluzione. Quello di cui non sa, a meno che uno non si sia dato ad approfondite e dettagliate ricerche, è quanto avvenne oltre la versione raccontata dai media e al di là degli articoli speculativi. Ciò che lo spettatore non sa, e che invece è di fondamentale importanza, è come il tema razziale assunse un ruolo cosi basilare nel “processo del secolo” e non soltanto in termini di bianco e nero. Questo è chiaro fin dall’ inizio in From the Ashes of Tragedy, nella prima scena tra Johnnie Cochran e Christopher Darden, due avvocati di colore che si ritrovano a lavorare per il caso Simpson su fronti opposti. La tensione tra i due è palpabile, e quando Cochran ordina a Darden di scegliere da quale parte stare è un momento da brividi; ”Choose a side”, queste tre parole denunciano il conflitto interiore che Darden vive: un nero che lavora dalla parte della persecuzione e che è stato anche appena coinvolto in un caso incentrato sull’uccisione di una donna di colore da parte di un poliziotto.

Il fatto che Ryan Murphy non abbia avuto un ruolo predominante in questa serie è evidente – lui dirige solo pochi episodi, tra cui il primo, appunto, e non ha crediti sulla scrittura: Scott Alexander e Larry Karaszewski hanno sceneggiato l’episodio pilota. Ma è una trama solida, con attenzione prestata sia agli elementi più grandi del set (come la statua di OJ che incombe minacciosa nel cortile) sia alle più piccole ed apparentemente inconsistenti minuzie (presentazione della famiglia di Marcia Clark, la scelta dei vestiti di Cochran) che hanno maggior significato di quanto non sembri. From the Ashes of Tragedy si muove con grazia dal viaggio a tarda notte di O.J. verso l’ aeroporto per Chicago, alla scoperta dei corpi di Nicole e Ron, al coinvolgimento di Clark, al mandato di arresto per O.J, alla fuga della star del football con la bianca Ford  Bronco. È una storia vorticosa ma allo stesso tempo basata sulla lentezza: lo spettatore ha il tempo di studiare il team degli avvocati rivali e di apprendere dettagli sui personaggi senza però avvertire la (spesso) spiacevole sensazione del “perdersi” in dettagli. E ci si ritrova a provare interesse verso personaggi che non credevamo meritassero la nostra attenzione (come Kato Kaelin, il noto radiofonico che fu testimone contro OJ). Il primo episodio ci introduce agli  attacchi di paura di OJ (e la conseguente dipendenza da pillole), alla viscidità di Shapiro (uno degli avvocati difensori magistralmente interpretato da John Travolta), all’ignoranza dell’accusatrice Marcia (una Sara Paulson ancora in grande forma, sempre camaleontica e molto dentro il personaggio) su chi sia OJ.

La regia di Murphy dell’episodio pilota è ammirevole, e mostra controllo quando è necessario. La sua direzione è scorrevole e misteriosa allo stesso tempo, come dimostrano l’inquietante sensazione generale provocata dal cane che abbaia e dalla vasca da bagno piena di acqua; la macchina da presa che si sofferma sul sangue nelle crepe delle piastrelle all’esterno prima di puntare sul corpo di Nicole verso le scale; la ripresa finale che inizia con un’angolazione bassa della Bronco bianca prima di fare una panoramica verso l’alto in campo lungo, inquadrando il veicolo che a vanvera si snoda tra le stradine mentre la dylaniana I Shall be released accompagna la  sfortunata fuga di OJ. Un’altra cosa che funziona in  From the Ashes of Tragedy è l’impostazione di interessanti elementi che vanno al di là del caso in sé. Uno in particolare che emerge è l’aspetto holliwoodiano che permea l’intera storia, i modi in cui il processo somigli a una forma primitiva di reality show; come quando un poliziotto sottolinea che lui non vuole una situazione “alla Belushi” tra le mani, o quando Rob Kardashian afferma stupidamente di essere “nella lista” quando tenta di entrare nella scena del crimine, o le stesse relazioni amichevoli di O.J. con i poliziotti che si intrattengono a casa sua per partite di tennis o parties in piscina. Ma l’aspetto più impressionante del primo episodio é come esso coinvolga completamente gli spettatori pur trattandosi di una storia di cui già si conosce la conclusione. Il bigliettino del suicidio produce una reazione terrificante, anche se noi sappiamo che O.J. è tuttora vivo. E alla fine, quando il campione scappa (come tutti sappiamo che avrebbe fatto) è ancora una scena da brividi.

Va velocemente sotto pelle questa serie – pensiamo anche alla scena in cui la figlia di Nicole lascia un messaggio sulla segreteria telefonica che parla con la voce della  madre morta – ma lo fa in un modo che lascia nello spettatore la forte esigenza di continuare a guardarla.