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A Good Marriage

2014
Titolo Originale:
A Good Marriage
REGIA:
Peter Askin
CAST:
Joan Allen (Darcy)
Anthony LaPaglia (Bob)
Stephen Lang (Holt Ramsey)

Il nostro giudizio

A Good Marriage è un film del 2014, diretto da Peter Askin

I film tratti da libri o racconti di Stephen King (questo vale per tutti i film che hanno alle spalle un testo letterario, ma nel caso di King sembra valere di più) sono come le traduzioni dal greco o dal latino che facevamo al liceo e come le donne: l’ambizione di noi tutti sarebbe quella di averne una (di donna) o di scriverne una (di traduzione) che fosse bella e fedele ma siccome si tratta di evenienza rara, resta allora da scegliere se sia meglio una brutta fedele o una bella infedele. Uscendo dalle metafore gineco-scolastiche, King è stato qualche volta ben ridotto sul grande schermo da registi che più che fare un film tratto da hanno fatto il film di: penso alla Zona morta di Cronemberg e anche a Cimitero vivente della Lambert, per non voler essere ovvi e citare Kubrick – il cui Shining non c’entra quasi nulla con la pagina kinghiana, comunque. Ma il più delle volte lo scrittore di Bangor ha avuto dei traduttori ligi al dovere e schisci nei ranghi, dei registi esecutori per non dire travet che gli hanno reso un servizio corretto senza che la loro traduzione brillasse di luce particolare. Le brutte fedeli, insomma, la cui lista si allunga sulle decine di film para-televisivi buoni per tutte le stagioni. Ci sono state anche le brutte infedeli, tipo il Cell di recente memoria, ultimo di una lunga lista. Per arrivare a noi, A Good Marriage sta tra le versioni mediamente fedeli e mediamente belle del lavoro del Re, il quale ha sceneggiato lui stesso il film, quindi, meriti o demeriti li condivide a metà anche King con il regista Peter Askin, che è il tizio che nel 2007 aveva diretto il bel documentario Trumbo, sulla persecuzione dei comunisti a Hollywood. Quindi, non uno scemo qualsiasi.

La short story da cui deriva la sceneggiatura di A Good Marriage era contenuta nella raccolta Notte buia, niente stelle, la decima antologia del Re uscita in Italia nel 2010. Stringatamente, il tema è quello di una coppia sposata da 25 anni, middle class americana, con figli già grandi, in cui lei che si chiama Darcy, un giorno, casualmente, trova nel garage una scatola contenente il documento di identità di una ragazza vittima di un killer seriale che sta impazzando nei paraggi. La scatola è del marito, Bob, che, senza perdere troppo tempo, il prosieguo della storia ci dice essere l’assassino e stupratore che dopo avere seviziato e ammazzato le proprie vittime usa inviare i loro documenti di identità alle forze dell’ordine. Darcy parla con Bob e Bob capisce che Darcy ha capito. Segue dilemma: che fai quando scopri che tuo marito è un mostro? Taci continuando a vivere facendo finta di niente oppure…? In quell’ “oppure” c’è tutto quello per cui amiamo King, la sua capacità di entrare nelle profondità dei personaggi e di restituire sulla pagina le loro decisioni, le loro strategie e i conseguenti comportamenti con limpida potenza. Darcy sa che quell’uomo con il quale ha diviso il letto da un quarto di secolo va fermato. Sa che lo deve uccidere. E comincia quindi a pianificare, uno dopo l’altro, i passi per farlo fuori. Il giusto che si trova a dover compiere qualcosa di “ingiusto” è un must kinghiano.

Askin dirige A Goog Marriage stando arretrato, mantenendosi discreto, facendo sentire pochissimo la regia e lasciando invece briglia sciolta ai protagonisti, Joan Allen e Anthony La Paglia, due attoroni quadrati ed efficaci (più che lei che lui, a dir vero) nel rendere la psicologia della housewife che capisce di non avere alternative e del consorte massacratore di ragazzine che è convinto, anche dopo l’agnizione della moglie, di vivere in una botte di ferro. Ovvio che tutta la seconda parte della storia sia quella più intrigante perché Joan Allen si troverà a dover escogitare un piano in qualche modo diabolico per portare a compimento la sua missione di giustiziera per il bene non solo della collettività ma della propria famiglia prima di tutto. King non sarebbe comunque King se non intervenissero anche i personaggi secondari e caratteristici che gli sono propri: qui troviamo uno squadernato Stephen Lang che indaga sulle morti seriali e arriva a ficcare il naso nella casa di Joan e nei suoi segreti. Da aggiungere che il Re era partito da fatti reali per il suo racconto, ovvero dalla storia di Dennis Rader, un omicida che fu attivo dal 1974 al 1991 e che era soprannominato BTK Killer, “bind, torture and kill”, con riferimento al trattamento che riservava alle sue povere e giovani vittime.