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4/20 Massacre

2018
Titolo Originale:
4/20 Massacre
REGIA:
Dylan Reynolds
CAST:
Jamie Bernadette (Jess)
Vanessa Rose Parker (Aubrey)
Jim Storm (Rick)

Il nostro giudizio

4/20 Massacre è un film del 2018, diretto da Dylan Reynolds

Secondo un’affascinante e al contempo oscura leggenda metropolitana non meglio identificata, il termine 420 andrebbe a designare l’ora (4:20 PM) e il giorno (4/20, ovvero il 20 di aprile) consacrati, in maniera tutt’altro che ufficiale, al consumo di cannabis. Rimandando l’eventuale curiosità dello spettatore/lettore circa la genesi di tale fantomatica “festività” della marijuana al nutrito e variegato sottobosco della Rete, ciò che qui interessa maggiormente è tentare di partorire un giudizio il più possibile obiettivo e costruttivo (dunque decisamente clemente) nei confronti di un prodotto come 4/20 Massacre, camping-slasher a suo modo squisitamente truculento che, già nell’inequivocabile titolo, non lascia spazio ad alcun dubbio circa il proprio indirizzo narrativo, tentando di dimostrare, una volta per tutte, come, in effetti, il fumo possa nuocere (molto) gravemente alla salute. Protagonista di 4/20 Massacre è il consueto gruppuscolo mal assortito di svampite e bellocce ragazzotte di città (Jamie Bernadette, Vanessa Rose Parker, Stacey Danger, Justine Wachsberger e Marissa Pistone), giunte nel mezzo della solita selva oscura – qui in verità perennemente illuminata dal caldo e abbacinante sole della California – con l’intento di campeggiare allegramente e festeggiare il compleanno di una di loro, il quale, guarda caso, coincide con il summenzionato Ganja-Day.

Nonostante lo sgradito incontro con un equivoco (e decisamente alticcio) ranger forestale (un attempato e buzzurrissimo Jim Storm), il soggiorno tra i boschi sembra procedere per il meglio, fintanto che il gruppo non viene in contatto con un ragazzo a dir poco terrorizzato (Mark Schroeder), in fuga da non si bene cosa e in possesso di una borsa piena zeppa di cannabis. Da questo momento avrà inizio un incubo senza fine, nel momento in cui un misterioso assassino, in agguato fra le fresche frasche, inizia a mietere vittime, alla ricerca della preziosa erba dei desideri sottrattagli. Il cinema di genere ci ha da lungo tempo abituati alla figura del serial killer vendicativo e ossessionato da uno scopo ben preciso, ma mai, prima d’oggi, si sarebbe potuto concepire un assassino alla ricerca della ganja perduta, per di più all’interno di un lavoretto semi-amatoriale come 4/20 Massacre. Scritto, diretto e montato (!!!) con evidente passione (ma con altrettanta evidente scarsità di risorse e competenze) dal misconosciuto Dylan Reynolds – esordiente nel 2008 con l’onesto dramma post-carcerario Chain Link e precocemente arenatosi nel 2012 con la commediola Nipples & Palm Trees –, questo horrorino di serie C, troppo insipido per la serie B ma decisamente troppo appassionato per la serie Z, si rivela sin dal principio un chiaro e sfacciato omaggio all’intero glorioso filone degli slasher anni ’80 a suon di tende, pini, sacchi a pelo e qualche affilato coltello d’ordinanza, partendo dalla celeberrima (e immancabile) saga di Venerdì 13 e contaminandosi progressivamente con uno stucchevole minestrone che frulla insieme dramma (post)adolescenziale da quattro soldi e uno humor goliardico decisamente fuori tempo massimo.

Tutto appare imbevuto sino al midollo dal viscoso e aspro succo dello stereotipo, dai modelli psico-comportamentali di ciascun personaggio femminile (la svampita, la belloccia, la fattona, la lesbica, la secchiona ecc.) sino alla truculenza estetica e creativa dei delitti, laddove gli smembramenti ultra-gore, dal gustoso sapore casereccio, portano in filigrana l’evidente impronta dell’immaginario cinematografico dei gloriosi registi di genere italici, da Fulci ad Argento passando per Bava (figlio). Confezionato con una fotografia e una messa in scena decisamente al di sotto del comune senso del pudore cinematografico, 4/20 Massacre si culla beato nella sua mediocrità tecnica e narrativa, ammantato da uno score di morriconeggiante (thriller/horror) memoria e integralmente incentrato sulla più che mai suggestiva figura di un killer mascherato che pare l’innesto mal riuscito fra un John Rambo in tenuta mimetica da cecchino e le artiglianti creature innominabili del The Village di Shyamalan, il tutto ammorbato dagli effluvi rilassanti di spinelli e bong come nemmeno un vorace circolo sessantottino avrebbe mai potuto concepire.