Lo spaghetti-western secondo Quentin Tarantino

Il regista di Hateful Eight parla dei suoi cult del western all’italiana
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Iniziamo con una domanda che mi sorge spontanea: quali sono, secondo te, le differenze tra il cinema western americano e quello italiano? E quale è stata la rivoluzione portata a livello internazionale dallo spaghetti western?

Senza gli spaghetti western, il cinema moderno non sarebbe lo stesso, non ci sarebbe nessun Franco Nero, Giuliano Gemma, Bud Spencer, Terence Hill… e anche Clint Eastwood. Il cinema hollywoodiano di oggi, di Clint Eastwood, non esisterebbe senza i western. Anche Ennio Morricone è legato alle musiche degli spaghetti western. Pensiamo a un attore come Lee Van Cleef, uno dei miei preferiti del genere, un’icona dello spaghetti western, che è diventato personaggio del western in Italia e non in America. E che dire di Burt Reynolds e Charles Bronson, che sono diventate delle star a Hollywood? Anche loro anno avuto la loro grande chance negli spaghetti western. Senza contare che Sergio Leone è l’autore che ha maggiormente influenzato tutta una nuova generazione di registi che poi hanno fatto western moderni. Non sono stati né John FordHoward Hawks, ma Sergio Leone. Senza di lui non ci sarebbero stati Walter Hill, George Miller… Tutti noi dobbiamo qualcosa all’estetica di Sergio Leone. Ha rivoluzionato il western. Non solo: l’ha resuscitato. Lo spaghetti western è nato a metà degli anni Sessanta proprio quando il western americano stava tramontando e ha reinventato le regole del genere, svecchiandole e rendendole più immediate a un pubblico giovane. Perché, da che mondo è mondo, i film devono piacere innanzitutto ai giovani. Qualsiasi altro film uscito dopo i primi spaghetti western sembrava così “old fashion”… Così tutti i western americani usciti tra il 1963 e 1965 appaiono estremamente datati e poco interessanti, persino Peckinpah. In quei film era tutto stereotipato, sai, cose del tipo, il buono porta il cappello bianco e il cattivo quello nero. C’era un senso del bene e del male molto elementare, mentre negli spaghetti western i personaggi avevano molte sfaccettature e spesso i buoni erano più bastardi dei cattivi. Anche la violenza e il sadismo dello spaghetti western era qualcosa di sconosciuto al cinema americano, senza contare il look dei personaggi che era molto più cool. Questi aspetti hanno cambiato e dato nuova linfa vitale anche al western americano… In un certo senso poi, tutto diventa un’enorme catena di influenze e richiami. Ad esempio, io in Kill Bill ho messo alcuni aspetti di Da uomo a uomo di Giulio Petroni, che è uno dei miei revenge-western preferiti, ma anche Petroni si è a sua volta ispirato a The Bravados di Henry King. E così, alla fine, anch’io posso dire di essere stato influenzato indirettamente da Henry King.

Hai citato Giulio Petroni e i suoi western senza eroi, dove nessun personaggio è completamente positivo e non c’è redenzione. Qualcuno li ha definiti western politici, tu che ne pensi?

Trovo che la definizione “western politico” sia alquanto fuorviante, almeno per quanto riguarda i film di Petroni. Non sono mai stato un grande fan dei western politici, per me non lo erano nemmeno così tanto, era una visione politica per così dire ingenua: i ricchi sono cattivi, i poveri buoni (ride). Fanno eccezione i due film di Sergio Corbucci, Il mercenario e Vamos a matar, companeros, che fondamentalmente sono il remake l’uno dell’altro nel modo in cui El Dorado era il remake di Un dollaro d’onore. Tornando a Petroni, il suo film più politico è sicuramente Tepepa. L’ho avuto per anni in casa, fin dai tempi in cui lavoravo in videoteca, ma non l’avevo mai visto. Anche perché sulla cover della vhs americana c’era un disegno di Tomas Milian che lo faceva sembrare una sorta di Rambo e pensavo che il film fosse una cazzata. Poi mi sono deciso a guardarlo e ho scoperto che è fantastico, che riesce a mantenere la freschezza di un film giovane pur infarcendolo di aspetti politici non banali. Senza contare l’ambiguità di tutti i personaggi. Nessuno nel film, né Orson Welles, né Tomas Milian e neanche John Steiner, è veramente un personaggio positivo. Questo è quello che mi piace dello spaghetti western. Non è mai così semplice definire i personaggi. Un gran pezzo di cinema con una magnifica interpretazione di Tomas Milian, una delle sue migliori, il tema messicano scritto da Morricone fa piangere dalla commozione, e nel film c’è una delle migliori sparatorie mai viste in un western. Qualcuno ha detto che non si può neanche considerarlo uno spaghetti western ma un dramma sociale. Cazzate! È più spaghetti western persino di Da uomo a uomo!

Parliamo di donne… negli spaghetti western e negli horror le donne sono sempre o vittime o personaggi di contorno. Tu alla fine hai dato potere alle donne, nei tuoi film… 

I Paesi che hanno sviluppato industrie cinematografiche in parte basate su film di genere, specialmente quella orientale, hanno creato figure di protagonisti femminili d’azione. Anche quella statunitense, negli anni ‘70 aveva Pam Grier nella blaxploitation. È curioso notare come, invece, in Italia, nei film di genere non ci sia mai stata l’idea di rendere la donna guerriera. La donna è quasi sempre ridotta a oggetto sessuale… soprattutto nei western. Ed è per questo che i western in cui il personaggio femminile è multidimensionale saltano in cima alla mia top list. Ad esempio in The Bounty Killer, la parte di Halina Zalewska è molto bella, non è solo una donna in pericolo da salvare! Per me fu divertente creare per Uma Thurman un ruolo alla Navajo Joe, metterla nel vortice di un western di Sergio Corbucci!

Sergio Leone disse in molte interviste che i personaggi femminili nei western non sono interessanti perché la cosa più importante è l’amicizia virile tra i personaggi. Infatti è facile rileggere sottotesti omosessuali in tantissimi spaghetti western, basti pensare al film di Edoardo Mulargia, La taglia è tua… l’uomo l’ammazzo io, o a Se sei vivo spara di Giulio Petroni

Sì, è vero! È facile trovare tematiche omosessuali nei western e per me un sottotesto omosessuale rende solo un film di genere un po’ più divertente da guardare! (ride) Comunque capisco a cosa si riferisce Leone, perché ciò a cui lui è interessato è un codice d’onore: cosa deve o non deve fare un uomo in una certa situazione. Comunque in Il buono, il brutto, il cattivo quella tra Lee Van Cleef e Clint Eastwood è una vera e propria storia d’amore al maschile (ride).

Sergio Corbucci è stato una delle colonne portati del cinema italiano (non solo di genere)… Sei d’accordo?

Oh assolutamente! Per anni, dalla metà degli anni Settanta in avanti, la gente non considerava gli spaghetti western e quando lo faceva parlava solo di Sergio Leone. Gli altri registi erano etichettati come semplici imitatori. C’erano ovviamente degli imitatori di Sergio Leone che facevano western sulla falsariga di come li faceva lui, tanto quanto ci sono stati miei imitatori che hanno fatto film di gangster dopo Le iene e Pulp fiction, ispirandosi al mio stile. Gli imitatori ci sono perché ho aperto la strada a un nuovo modo di intendere il gangster-movie per una nuova generazione, proprio come Leone aveva fatto con il western. Ma gli spaghetti western, non necessariamente sono riconducibili tutti al modello leoniano. Lo spaghetti western è un genere con specifiche caratteristiche che lo rendono unico e riconoscibile: il trucco, i costumi e il contesto politico. Il genere si è formato attraverso diverse influenze, un po’ come è successo col western americano, dove il modello si è affermato grazie al lavoro di diversi grandi registi, come Howard Hawks e John Ford, e poi con un’altra ondata di cineasti come Raoul Walsh, Henry King, e poi ancora Robert Aldrich e Sam Peckinpah… Così anche nello spaghetti western ci sono diverse correnti e diversi maestri che per me sono soprattutto Sergio Leone e Sergio Corbucci. Entrambi sono innovatori e nello stesso anno in cui Leone fece Per un pugno di dollari Corbucci girò Minnesota Clay anche se in realtà Minnesota Clay non può essere considerato precursore degli spaghetti western perché è più vicino a un classico western americano nonostante alcune trovate surreali che non appartengono certo a quel tipo di cinema. Nel senso che è più simile a un film americano se paragonato ad altri spaghetti western. Forse, se fosse stato un film americano degli anni Sessanta, tutti avrebbero apprezzato la sua modernità! Un paio di film dopo ha fatto Django che, invece, ha influenzato il genere quanto Per un pugno di dollari e ha creato una fondamentale icona per lo spaghetti western, al pari di Clint Eastwood e Lee Van Cleef, e cioè Franco Nero, la quintessenza del genere. Anzi, toglierei pure Clint Eastwood che non ne ha fatti poi così tanti e direi che le due facce per un manifesto ideale degli spaghetti western sono proprio Lee Van Cleef e Franco Nero. Leone si è specializzato in pochi capolavori che raccontano una gigantesca storia, ha fatto una delle trilogie più belle della storia del cinema. Un film più bello dell’altro. Una trilogia che poteva essere anche una quadrilogia visto che non c’è stata nessuna curva discendente. Il quarto l’avrebbe potuto intitolare Il buono, il brutto, il cattivo e la donna. (ride) Corbucci al contrario è stato più prolifico facendo tantissimi film diversi tra loro, per cui ha avuto più occasioni per fallire e fare capolavori. Ha diretto una serie di meravigliosi film nel giro di pochi anni e un’altra differenza rispetto a Leone è che avendone sfornati così tanti uno dopo l’altro, ogni volta che uscivano al cinema, non venivano considerati degli eventi. Navajo Joe è un grande, grandissimo film, con alla base una semplice e sanguinaria storia di vendetta, ma nello stesso anno Corbucci ne girò almeno altri due…

Qual è il tuo film preferito di Corbucci?

La costruzione emotiva di Django è davvero difficile da superare, anche se Vamos a matar compañeros e Il mercenario sono meravigliosi. Una delle cose che mi piace di più di Corbucci, assieme a un altro regista western che adoro, William Witney, è che non c’è un film che è in assoluto migliore rispetto agli altri. Se dovessi portare un suo film alla Cinémathèque Française sceglierei Il grande silenzio; se dovessi lasciare un film al museo degli spaghetti western porterei Django, se ci fosse un museo sui revenge-movie direi Navajo Joe, una delle migliori sceneggiature di spaghetti western è invece quella di I crudeli che ha un fantastico ruolo femminile interpretato da Norma Bengell.

Cosa ne pensi di Tomas Milian?

Tomas Milian è davvero un attore straordinario, una figura essenziale per lo spaghetti western. Credo che sia stato proprio quello che serviva al genere per differenziarsi dagli americani. È così immenso e flamboyant. Con questo look cubano tenebroso e cupo poteva interpretare ruoli topici: l’eroe peone messicano, il perfetto rivoluzionario. Ruoli fondamentali negli spaghetti western al di fuori dell’universo americano. E lui era perfetto per la parte: potrebbe essere considerato il primo vero eroe del Terzo Mondo. E nello stesso tempo ha questa caratteristica per cui può interpretare benissimo un pazzo furioso come un simpatico furfantello. In I quattro dell’apocalisse è un vero e proprio Charles Manson del vecchio West. Quello di Lucio Fulci, è un film genuinamente scioccante e con una rappresentazione moderna della depravazione e della violenza. E The bounty killer, con quella sparatoria finale dove lui viene colpito regalandoci una delle più belle scene di morte mai viste al cinema…. Fantastico! Ma è in La resa dei conti, interpretando il personaggio di Cuchillo, che Tomas Milian diventa per davvero il primo eroe terzomondista della storia del cinema western. E tra l’altro, il film è costruito così bene che almeno per la prima metà pensi davvero che Cuchillo sia un assassino di bambini e ti auguri che finisca ammazzato. E poi pian piano, come Lee Van Cleef, inizi a capire che è innocente. Non mi piace molto, invece, quando fa un po’ il clown alla Charlie Chaplin nei western stile Provvidenza, ma a parte questo sono davvero un suo grande fan.

Parliamo di Enzo Castellari e di Keoma

Keoma è fantastico! Rappresenta per gli spaghetti western quello che Gli spietati rappresentata per il cinema americano. Enzo Castellari ha rivoluzionato un’altra volta il genere, cambiandogli forma e contenuto e introducendolo negli anni Settanta. In un certo senso, è più vicino al western americano di quegli anni, che era un western molto cinico e cattivo, penso a I compari di Robert Altman con quella meravigliosa colonna sonora. Considero Keoma il Django degli anni Settanta.

È iniziata da bambino questa tua passione per il cinema di genere italiano? Era possibile allora vedere film italiani al cinema?

Gli spaghetti western con Clint Eastwood arrivarono subito anche qui, nel 1966/68, uno dietro l’altro. Credo che Il buono, il brutto e il cattivo fosse già stato proiettato mentre veniva distribuito al cinema Per un pugno di dollari. Mia mamma era molto giovane e si era presa una cotta per Clint Eastwood e anche al mio patrigno piacevano molto i western, e così i primi film che ho visto sono stati la trilogia di Leone, uno dietro l’altro. Penso che uno dei miei primi ricordi cinematografici sia proprio Il buono, il brutto e il cattivo visto con mio padre seduto nelle prime file, con i fotogrammi che ti sbattono in faccia! E poi un altro spaghetti western che ho visto, al drive-in, è stato I giorni dell’ira, che era il secondo film di un doppio spettacolo. E me lo ricordo tuttora perché ero completamente coinvolto dalla storia di Scott Mary (interpretato da Giuliano Gemma, ndr.). È la tipica trama che può affascinare un bambino, era un po’ come una favola per me, un film sulla crescita. Mi ricordo i titoli di testa, le regole che imponeva Lee Van Cleef a Gemma e di come mi sono sentito triste quando alla fine l’allievo ha dovuto uccidere il maestro… Mi ricordo tutto! Credo sia stato l’ultimo spaghetti western classico che ho visto al tempo, poi siamo passati agli anni ‘70. Ho visto anche Sole rosso quando è uscito…

E oggi è possibile vedere film italiani nei cinema americani…

Parli del cinema italiano moderno? Direi proprio che è difficile. Credo che sia dai tempi di La vita è bella che non ci sia stato un film italiano che abbia avuto una grande diffusione negli Usa…