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Jacopetti Files

Autore:
Fabrizio Fogliato, Fabio Francione
Editore:
Mimesis Cinema

Il nostro giudizio

Jacopetti Files di Fabrizio Fogliato e Fabio Francione apre nuovi squarci sul genere mondo

Parlare del cinema di Jacopetti, Gualtiero Jacopetti, è sempre come infilare il piede dentro un nido di serpenti. Un discrimine molto pericoloso, una materia potenzialmente velenosa. Perché c’è il rischio costante o di cadere nell’apologetica più bieca e corriva o di scendere ideologicamente in guerra contro i cineasta “fascista e reazionario”. A Jacopetti e al suo cinema si va così. Tertium non datur. Mi piace ricordare che Nocturno fu tra i primi, se non il primo, nel lontano 1998 o ’99,  a disserrare lo scrigno jacopettiano con una lunga intervista che al regista di Mondo cane e Africa Addio! fece Daniele Aramu, il quale, rifacendosi alla dicotomia di cui all’inizio, rientrava decisamente nel novero dei fautori del “Maestro”. Nell’era più moderna, e con ciò intendo gli ultimi dieci anni, credo non si possa fare i conti con Jacopetti e con la sua filosofia, nel bene o nel male, senza avere letto il libro di Stefano Loparco Graffi sul mondo, che ha posto diversi punti fermi nella storia degli studi sul personaggio. Loparco è anch’egli un apologeta ma cum iudicio e con diverse riserve, che, in questo settore specifico di studi, è già moltissimo.

Arriva però adesso anche il volume (volumone, oltre 400 pagine) di Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti files, pubblicato da Mimesis Cinema, che da adesso in poi dovrà stare giocoforza nella libreria di chiunque si interessi all’argomento. Si presenta con la dicitura del sottotitolo “Biografia di un genere cinematografico italiano”, alludendo ovviamente al mondo-movie, che esistette nella sua fisionomia più compiuta e che raggiunse ciò che gli antichi avrebbero chiamato il telos, ossia il proprio obiettivo predestinato, il traguardo terminale, solo nella misura in cui esistette il cinema di Jacopetti e soci. Senza Jacopetti non parleremmo di mondo-movie e ho la netta convinzione che oggi neppure andremmo a vedere i POV, i film in soggettiva che è giusto stimare come una delle se non la rivoluzione cinematografica dell’ultimo ventennio ma la cui scaturigine prima va ricercata ben più indietro della Strega di Blair e anche di Cannibal Holocaust che fu – involontariamente, ma questo implica un altro discorso molto più complesso – la versione aggiornata agli anni Ottanta della filosofia mondocanesca di Jacopetti. Perché “biografia”? Perché gli autori hanno raccolto in una serie di quattro “Files” alias Capitoli, una quantità impressionante di materiale critico attinto da quotidiani, riviste e pubblicistica di settore contemporanei ai fatti.

Il primo file si aggira nel cuore della faccenda, cioè gli anni dal 1962 al 1964 ed è posto sotto sotto l’esergo Jacopetti vs Cavara (uno dei due autori, Fogliato, viene dall’avere scritto un libro su Cavara specificatamente); il secondo file sonda gli anni tra il ’66 e il ’69, definiti della Diaspora Jacopettiana; il terzo file ci immerge nel Gorgo degli eccessi con riferimento a Addio Zio Tom e Africa ama; e, infine, l’ultimo file indaga il periodo del divergere delle strade di Jacopetti e del sodale Franco Prosperi, fino alla realizzazione di Wild Beats di quest’ultimo. Oltre la mole di documentazione desunta dagli archivi, Fogliato e Francione offrono al lettore anche diverse primizie, tra le quali piace ricordare un dialoghetto platonico tra Fogliato e Loparco e una lunga intervista finale a Franco Prosperi che funge da sigillo dell’opera, prima di una ricca sezione fotografica che in libri di questo tipo di solito viene considerata superflua mentre, al contrario, l’apparato iconografico, quando si parla di cinema, è essenziale. Certo, siamo di fronte a un testo più di studio che di lettura nel tempo libero e l’idea che ne esce del genere mondo, seguito dalla fonte prima di Jacopetti attraverso flussi, rivoli e propaggini dei suoi continuatori, è ben più complessa e stratificata di quanto si sia normalmente disposti ad ammettere. Da segnalare la breve ma incisiva prefazione affidata al genio di Nicolas Winding Refn.