Featured Image

Il ritornello crudele delle immagini

Autore:
Giulia Raciti
Editore:
Mimesis

Il nostro giudizio

Carmelo Bene è l’autore più necessario del cinema italiano. Lo è ancora, adesso, a sedici anni dalla sua morte. È una figura per cui le categorie temporali appaiono inutili, non essendo mai nato non può morire e continua a essere uno dei più grandi, inesauribili, autori italiani. Il suo cinema contro il cinema è stata l’apparizione più sconvolgente degli anni ‘60 e ancora oggi è capace di operare una sana distruzione: l’assassinio necessario dell’inutile cinematografico attuale. I suoi furono/sono film inguardabili, perché non abbiamo più (o non ancora?) gli occhi per guardarli. Sono proprio film che non vanno visti. Andrebbero solamente accolti, coraggiosamente, da chi è disposto al confronto alla pari con le opere meno riconcilianti prodotte negli ultimi cinquant’anni. Ma nello stesso tempo sono film enormemente affascinanti, come meteore dal magnetismo misterioso, eccessive come il vino ad alta gradazione alcolica delle puglie, profondamente italiane e aliene al contempo. E sono film spesso sorprendentemente divertenti, perché Carmelo Bene è stato anche uno dei più grandi attori comici italiani.

Il cinema e l’opera di C.B. è stata studiata negli anni da alcuni grandi critici (tra i quali non possiamo dimenticare Maurizio Grande e Jean Paul Manganaro, Alessandro Cappabianca e Giancarlo Dotto, ma su di lui scrisse anche Deleuze). Nonostante questa ricchezza di bibliografia credo che proprio per l’enorme densità formale e di senso che i suoi film posseggono ci sia bisogno di altre prove, di altre possibilità di frequentare i luoghi di quel cinema tra i drappi neri, le ombre, gli specchi e la luce accecante che contengono. Accogliamo Il ritornello crudele delle immagini, saggio della studiosa Giulia Raciti come un benvenuto tentativo di riaccostarsi all’opera di Bene partendo proprio dall’assunto che il suo cinema è anti-cinema, le sue immagini desiderano autodistruggersi ma intimamente sono sempre immagini, per le quali Bene ha dedicato cinque intensi e furiosi anni della sua vita, uscendone stremato. Nella straordinaria serie Quattro momenti su tutto il nulla (quattro puntate TV registrate per la Rai nel 2001 che finirono per essere un testamento artistico) Bene parla così della sua esperienza nel cinema:

«La mia frequentazione cinematografica è ossessionata dalla necessità continua di frantumare, maltrattare il visivo, fino talvolta a bruciare e calpestare la pellicola. M’è riuscito filmare una musicalità delle immagini che non si vedono, per di più seviziate da un montaggio frenetico.»

Il cinema di C.B. non è per nulla una parentesi, come spesso viene scritto, al contrario è un momento centrale della sua produzione, uno dei momenti più intensi della sua carriera, strettamente legato agli altri ambiti da lui frequentati. C.B. fa sempre la stessa cosa, ovvero l’opera-concerto, intesa in senso ampissimo. Bene fa sempre musica, canta sempre, anche quando fa cinema:

«Il cinema è una questione d’orecchio (parlo dell’orecchio armonico, non acustico). Bisogna sentire le cose. Che si tratti dell’opera, del teatro o del cinema, vedere non basta; ciò che conta è il ritmo».

La struttura del densissimo libro della Raciti, nonostante la ricchezza di riferimenti e considerazioni, è lineare: ogni opera viene analizzata in un capitolo dedicato. Dopo un’introduzione che tratta del guerresco rapporto tra Bene e la critica (e viceversa), i cinque lungometraggi e Hermitage (l’unico mediometraggio sopravvissuto, dato che A proposito di “Arden of Feversham” (1968) e Ventriloquio (1970) sono irreperibili) vengono analizzati con precisione e intelligenza, cogliendo tutti i fondamentali temi e le tensioni dell’opera beniana. È un viaggio azzardato e rischioso tra i concetti più densi che la filosofia possa ritrovare in un’opera cinematografica: dal doppio allo specchio, dalla voce alla phoné, dall’impossibilità dell’atto al depensamento, per citarne solo alcuni. Ma attenzione! Leggere questo libro permette di avvicinarsi al pensiero dell’arte beniana nel suo laboratorio concettuale ma poi, nella visione del suo cinema, tutto questo contenuto passa attraverso un incredibile rimescolamento per creare opere lontanissime dal cinema intellettuale, dalle opere di pura sperimentalità o concettosa inconsistenza. Un enorme patrimonio di pensiero si traduce in un evento in cui la sensazione e il pensiero sono un tutt’uno, in qualcosa di paradossalmente in bilico tra una gigantesca farsa e il saggio filosofico, tra il comico di abissale bassezza e il trattato di estetica, tra il metafisico e l’esplosiva esperienza sensoriale.

In questo libro anche i paratesti sono di qualità: da segnalare l’introduzione di Alessandro Cappabianca, autore di un fondamentale contributo sul cinema del nostro, Carmelo Bene: il cinema oltre se stesso (Pellegrini, 2012) e l’ottima post-fazione di Emiliano Morreale, penna sempre capace di analisi dense e efficaci, già curatore della gustosa antologia di interviste e scritti sul cinema di Carmelo Bene Contro il cinema edito da Minimum Fax nel 2011. In coda un’appendice con cento immagini di fondamentale riferimento e esemplificazione dei passaggi più importanti del testo. Un ultima nota. Oltre al cinema, tutta l’opera letteraria beniana è da recuperare. Anch’essa, spesso messa in secondo piano rispetto a quella teatrale, è straordinaria e raramente collocata nel giusto posto all’interno della letteratura italiana: in primis il romanzo Nostra Signora dei Turchi del 1966 da cui poi trasse l’incredibile film e l’autobiografia, davvero sconvolgente, comica e devastante Sono apparso alla Madonna del 1983. E come ultimo, ancora inesplorato territorio, l’opera ultima: ‘l mal de’ fiori, raccolta poetica pubblicata nel 2000 dalla lingua unica e inattuale, intrico di italiano antico, provenzale, milanese, francese antico, fiorentino, salentino, veneto…un’opera di “altissima macelleria” come scriveva Sergio Fava.  Bompiani ha in catalogo dal 1995 un volume unico di Opere che non possiamo che consigliare per capire che in C.B. non ci sono compartimenti stagni, parentesi, ambiti distinti di attività artistica ma tutto si riprende, si parla, si tiene. Cosa che il libro di Giulia Raciti, tra le altre tante cose, mostra splendidamente.