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IF – La fondazione immaginaria

Autore:
Fabio Guaglione e Fabrizio Temporin
Editore:
Mondadori

Il nostro giudizio

Ok, ok, ok, la crisi dell’editoria in Italia è un fatto complesso, sfaccettato, ascrivibile a una moltitudine di fattori tale che, come la prendi la prendi, rischi di essere riduttivo sempre e comunque, ma questo non significa che la qualità non conta più nulla. Al netto dell’analfabetismo funzionale dilagante e del fatto che sono sempre meno coloro che finiti gli studi aprono ancora un libro, i lettori ci sono e non sono scemi, specie i lettori forti che, a forza di vedersi propinare boiate scritte con quel tanto che basta di mestiere per restare nei binari, fanno anche presto a disaffezionarsi e, quando possono, a leggere direttamente in altre lingue, se il mercato nostrano è questo. Sì, perché IF – La fondazione immaginaria parte anche benino, per essere un libro italiano non manca certo di coraggio, però la cosa finisce lì. Le idee di base sono interessanti, un high concept che intreccia la dialettica immaginario-realtà giocando, nel contesto di una storia fantastica, con i meccanismi del processo creativo indagandone la natura.

Intriga pure, inizialmente, ma a cadere ci mette poco. D’altronde le idee non bastano, e nemmeno sono così originali. Da Grant Morrison a Jim Hines, passando per gli allora fratelli Wachowski e tanti altri hanno già sviscerato l’argomento analizzandolo da ogni prospettiva, dando vita a una produzione che copre tutta la scala della semplificazione, dal più lineare film d’azione alla più complessa struttura narrativa a fumetti. La differenza è che lo hanno fatto, chi più o chi meno, bene. Guaglione (sceneggiatore di Ride e Mine, di cui è anche regista) e Temporin proprio no. Questi due banalizzano forte, tagliano il tutto con l’accetta rimediando un prodotto troppo cervellotico per essere un romanzo per ragazzi e troppo puerile per essere un romanzo per adulti.

La scrittura è decente ma niente di più, gli autori hanno mestiere ma sono pesanti, IF – La fondazione immaginaria scorre lento e finisce per annoiare con una trama che va avanti zoppicando trainata da personaggi piatti, nel migliore dei casi stereotipati, nei confronti dei quali non dico immedesimarsi, ma anche solo affezionarsi un minimo è un’impresa troppo faticosa per il payoff inconsistente che offrono. Si poteva anche passare sopra a un’idea poco originale, d’altronde è pure fisiologico in un mondo dove la produzione di narrazione è strabordante, ma non sarebbe stata una brutta idea fare un bel libro, qualcosa dove ritmo, stile o profondità non fossero spianati fino al piattume. Davvero non è chiaro il senso di aver prodotto e promosso un libro di questo genere.