L’Ebreo Errante in Fargo 3

L'imprevedibile fa irruzione nella serie creata da Noah Hawley

Il suo nome proprio varia, Cartophilus, Assuero, Buttadeus. Mentre Dumas in un suo romanzo lo chiamava Isaac Laquedem. Letterati e poeti lo hanno fatto tragittare attraverso le proprie opere, così come si diceva che percorresse incessantemente la superficie della Terra a partire dal giorno in cui, sul Golgota, Cristo patì il supplizio. Gustav Meyrink lo citò in La faccia verde, Matthew Gregory Lewis in Il monaco, i nostri Fruttero & Lucentini ne fecero il perno del romanzo L’amante senza fissa dimora. E finì persino nel refrain di una canzone di Guccini, Antenor. L’ebreo errante è il soggetto sottinteso di tutto ciò che precede. Protagonista di leggende e racconti popolari che sorsero con tutta probabilità nel Basso Medioevo, sviluppandosi assai verosimilmente da alcuni passi dei Vangeli di Luca, Matteo e Giovanni in cui si allude a un discepolo “al quale non verrà mai meno la vita”. Il nucleo sostanziale di questo mito è che durante la passione di Gesù Cristo un ignoto ebreo, forse ciabattino, forse mercante di stoffe, forse guardia o custode di Ponzio Pilato, gli negò l’accoglienza, venendo perciò dal figlio di Dio punito a vagare per l’eternità, senza requie: «Ego vado et tu expectabis me donec revertar», ossia: «Io ora me ne vado e tu mi aspetterai finché non ritorno» gli disse il Nazareno, riferendosi alla propria seconda venuta, alla fine dei tempi, alla parousia.

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Dalle abbondantissime occorrenze in ambito letterario, era inevitabile che una figura del genere, un uomo condannato a errare nello spazio e nel tempo, perennemente, in quanto maledetto da Dio, scivolasse anche nel cinema. In un film italiano del 1949, L’ebreo errante, diretto da Goffredo Alessandrini, Vittorio Gassman incarna il personaggio, con il nome di Mathieu Blumenthal. Catturato dai tedeschi a Parigi durante la Seconda Guerra mondiale, viene internato in un campo di concentramento e infine fucilato, a espiazione delle proprie colpe. Si tratta dell’adattamento di un romanzo di Eugène Sue di metà Ottocento, Le Juif Errant. Nell’horror escatologico del 1987, La settima profezia, di Carl Schultz, Cartafilo viene identificato nientemeno che come il centurione che trafisse Cristo in croce – colui che tradizionalmente era noto come Longinus, per cabala fonetica dal nome greco della lancia – e perciò fu punito con la condanna a vagare per l’eternità. La trovata della sceneggiatura è che il reietto cerchi di creare le condizioni affinché si compia la fine del mondo e la sua sofferenza, quindi, abbia un termine. Il tutto è più affascinante a raccontarlo che a vederlo sullo schermo.

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E arriviamo così al senso contingente di questo pezzo sull’ebreo errante. Gli autori di Fargo – Terza serie, in onda in America e in Italia, hanno recuperato questa figura mitica e l’hanno inserita nell’architettura del loro show. Che non presenta temi fantastici o sovrannaturali, ma è un noir, potente, cruento e massicciamente iniettato di grottesco. Sebbene certe intrusioni arcane, come gli oggetti volanti non identificati della seconda stagione, colorino di un mistero non esclusivamente terrestre crimini, omicidi e ruberie. Il personaggio che decifriamo come l’ebreo errante si chiama Paul Murrane, è interpretato da Ray Wise e compare per la prima volta nel terzo episodio della terza serie: Gloria (Carrie Coon) fa la sua conoscenza sull’aereo che la sta portando a Los Angeles e lo ritroverà poi, più tardi, in un bar. Nell’ottavo episodio è invece Nikki (Mary Elizabeth Wintead) ad avere a che fare con lui, nel bowling in mezzo al Nulla dove ha trovato riparo insieme a Mr. Wrench (Russel Harvard, riapparso a sorpresa dalla prima serie), dopo l’incredibile lotta nella foresta con i sicari che li inseguivano. La scena è molto intensa, perché lo sconosciuto consola Nikki della perdita del suo uomo, Ray, e le tiene un discorso sulla metempsicosi dell’anima con abbondanti citazioni da testi sacri e l’ausilio di un gattino.

Sono quel genere di cose con cui Fargo ti strabilia, tanto più arrivando immediatamente dopo il bagno di sangue cui abbiamo assistito nei boschi. Murrane consegna a Nikki e Wrench, poi, le chiavi di una macchina, sulla quale i due si allontano dal bowling, poco prima che vi arrivi il killer Yuri (Goarn Bogdan) che li braccava e che è rimasto con un orecchio mozzato. A lui, Paul parla – con l’onniscenza di qualcuno che sta fuori dall’ordine naturale delle cose – dei suoi avi cosacchi e della loro belluina ferocia, prima di riportargli un messaggio di Helga Albracht, la donna uccisa alla quale si faceva riferimento nel primo episodio della stagione, che un’immagine astratta mostra alla guida di tutte le vittime degli antenati del sicario russo.