Le ragazze di Olga – Il sadomaso negli States

Quasi nessuno li conosce, ma sono i film che hanno, nel tempo, generato il ciclo delle Ilsa. Pressoché muti, in bianco e nero e con un allucinante corredo di torture
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Ado Kyrou nel suo saggio Amour Erotisme et Cinéma parla dei film tramite i quali il produttore George Weiss – mentore del debutto di  Ed Wood – introdusse con incredibile successo il sadomasochismo negli Stati Uniti. E dice che venivano realizzati in quattro cinque giorni, senza presa diretta, in cantine o in esterni. «On y voit comment de pures jeunes filles sont tranformèes, grace a tous les sevices qu’un esprit peut imaginer, en prostituéses et “colporteuses” de drogue. Les multiples carcans, les cigarettes qui brulent les seins nus, les pendaisons, les langues arrachées, etc., ne cèdent la place qu’à des nus beaucoup moins jolis que ceux de House of Bare Mountain, par exemple». Gli autori del volume Sex & violence si stupiscono giustamente del fatto che questi kinkies ripropongano pratiche «viste fine a quel momento solo nei loop con Betty Page, con una crudezza e intensità inaspettate, e con un sadomasochismo cruento».

Il primo della serie di filmetti di cui stiamo parlando si intitola White Slaves of Chinatown, del 1964, ed è diretto da Joseph P. Mawra. La sintesi di Kyrou è già fin troppo prolissa, rispetto al nulla che rappresenta l’intreccio di questa pellicola e dei suoi seguiti, Olga’a Girls, e Olga’s House of Shame, nei quali l’eroina eponima Olga Saglo, una maitresse intrescata nei traffici di droga e nella tratta delle bianche, altro non fa che esperire le pratiche del dominio fisico e della tortura sulle ragazze che, capitatele tra le grinfie, si dimostrano poco malleabili. Quando si parla di tortura, non ci si riferisce alle solite fustigazioni o agli abituali tratti di corda: qui ci sono ustioni al busto procurate con la fiamma ossidrica, arti bloccati nei ceppi e slogati piegandoli innaturalmente, seni straziati da morse armate di aculei, scariche elettriche applicate alle cosce attraverso anelli d’acciaio e – al top dei top, in Olga’s Girl – la mutilazione della lingua, estratta a forza con una tenaglia, recisa da una lama e fatta sgocciolare su un piccolo vassoio.

Joseph P. Mawra, che non c’è motivo di credere sia il nome di comodo di un altro regista – si ascolti l’audio commentary del dvd di Le ragazze di Olga edito da Severin – gira come quel geniale dilettante che è: talvolta però sorpendendo – come con il lentissimo carrello all’indietro su una ragazza che cammina e fuma in un corridoio, all’inizio di Olga’s Girl – e giocando comunque discretamente la carta della protagonista Audrey Campbell – allora fotomodella e attrice di teatro, che nel 1972 qualcuno definirà “the most talented performer to come up through exploitation film” –, femminile ma con il piglio da virago che devono possedere le dominatrici. Olga si prepara alle sedute di tortura indossando una tunica di cuoio, come una sacerdotessa, però Mawra non ha l’abilità (né lo sfiora nemmeno l’intuizione) di spingere fino in fondo l’analogia tra quel che segue e un rito sacro. Si finisce così per percepire questi supplizi, nonostante la buona volontà e la recitazione ipnotica della Campbell, come una banale operazione contabile, un piatto lavoro ragionieristico – cosa che magari in altre mani avrebbe potuto apparire persino più spaventosa e orripilante. O come una variante impazzita ma altrettanto noiosa di quei documentari didattico-propagandistici contro droga, comunismo, omosessualità – Olga è chiaramente lesbica e pratica in tal senso con alcune delle sue schiave – ai quali il ciclo degli Olga evidentemente si rifà.

Come che sia, è da questo incunabolo che nel tempo salteranno fuori gli Ilsa di Don Edmonds con la ultrasadica Dyanne Thorne, che anche d’aspetto appare piuttosto simile alla Campbell. Quanti sono gli Olga’s? A parte i tre citati, canonici, con Audrey Campbell, nel 1965 Mawra girò e Weiss scrisse (!) e produsse un M.me Olga Massage Parlor, frammenti del quale sono contenuti nel dvd americano Something Weird di White Slaves of Chinatown, ma che pare sia andato, per il resto, perduto. E più tardi, nel 1969, apparve un Olga’s Dance Hall Girls, di anonimo, nel quale la Olga di turno, Lucy Eldridge, capeggia un racket di ballerine e una setta satanica. Ma di torture e sevizie, qui, non c’è nemmeno l’ombra.