Laura Antonelli, morte di una dea

Scompare a 74 anni Laura Antonelli, icona dell’immaginario erotico italiano.
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Aveva abbandonato il cinema dall’inizio degli anni Novanta, per traversie giudiziarie e problemi di salute, vivendo in seguito come una reclusa, dedicandosi alla religione e a opere di carità.

Per rompere definitivamente col passato era persino tornata al suo cognome originale. Laura Antonelli, l’attrice più desiderata dagli italiani negli anni Settanta, la diva da duecento milioni a film, si faceva chiamare Laura Antonaz («Laura Antonelli non esiste più», ha dichiarato). Antonaz, infatti, era il cognome di suo padre, un istriano di Pola dove, il 28 novembre 1941, nacque Laura. Le traversie giudiziarie della Antonelli, carcere compreso, dovute al ritrovamento di 36 grammi di cocaina nella lussuosa villa “Trovarsi” di Cerveteri, nel ’91, e, poco dopo, gli effetti allergici, assolutamente devastanti per il suo volto, di un “siero” antirughe che – diceva lei – le era stato imposto dalla produzione di Malizia 2000, il suo ultimo e sfortunato film, fecero di Laura un’altra persona, una trascurata signora ultrasettantenne che, per lungo tempo, subito dopo le due insostenibili esperienze e dopo un periodo trascorso in Canada, dove risiedevano i genitori, si era dedicata anima e corpo agli extracomunitari, agli emarginati, come volontaria alla Caritas di Ladispoli. Una donna praticamente inavvicinabile, “reclusa” in modestissimo alloggio sul lungomare romano (la villa l’aveva data in uso alla Caritas) e dedita a una pratica religiosa ai limiti del fanatismo. Del resto, il cinico mondo della celluloide non si è mai distinto per solidarietà e gli ex amici e compagni di lavoro non le hanno certo dimostrato, nella fase più sfortunata della sua vita, grande amore. Né i suoi ex fidanzati: da Jean Paul Belmondo al produttore napoletano Ciro Ippolito. Né le ex compagne di lavoro, né i tanti registi che l’hanno diretta, né tutti coloro che, quando era una diva, la corteggiavano, hanno mosso un dito per darle una mano. Con un’unica eccezione: la regista Francesca Archibugi che l’aveva contattata a metà degli anni Novanta per una parte in un suo film in cui Laura avrebbe recitato così com’era, invecchiata e ingrassata, ma vera. La Antonelli, però, disse di no.

La carriera della Antonelli non fu dissimile da quella di tante altre attrici della sua generazione: cominciò con i fotoromanzi, alcuni, per allora, piuttosto osé come quelli pubblicati sulla rivista “per soli uomini” Caballero negli anni Settanta. Già studentessa all’Isef di Napoli, Laura comincia con un grande della celluloide nonché mago degli effetti speciali, Mario Bava, in un film in cui il regista, per la verità, non offre il meglio di se stesso: Le Spie vengono dal semifreddo (1966), una parodia delle spy story americane interpretata dal duo Franco Franchi e Ciccio Ingrassia e che vede anche la partecipazione del re dell’horror Vincent Price. Qui Laura interpreta Rossana, la segretaria del colonnello Benson -Francesco Mulè. Il primo film in cui la Antonelli mette in evidenza le sue doti di sex-symbol è però La rivoluzione sessuale (1968) di Riccardo Ghione, un prodotto in linea con i tempi e che ripesca teorie di liberazione sessuale e titolo dell’omonima opera dell’allora assai di moda psicanalista austriaco Wilhelm Reich immiserendole in una pellicolina erotica in cui i protagonisti tentano di liberarsi dalle proprie nevrosi scambiandosi in continuazione i partner, riuniti dall’analista-guru in un hotel in riva al mare. Laura mostre le proprie forme anche in Incontro d’amore-Bali (1970) di Ugo Liberatore e Paolo Heusch, film erotico-esotizzante-drammatico, stile eros e thanatos, pluri-ri-montato, né primo né ultimo di una lunga serie di omologhi di quegli anni (in una particina anche Ilona Staller ribattezzata per l’occasione Elena Mercury). La pellicola, però, con la quale Laura si rivela al grande pubblico, sia per le sue doti di attrice che per quelle di prorompente bellezza mediterranea, è Il merlo maschio di Pasquale Festa Campanile, ispirato al romanzo Il complesso di Loth di Luciano Bianciardi. Il protagonista maschile, Lando Buzzanca, è un violoncellista frustrato che scopre – in tutti i sensi – la moglie in quanto oggetto del desiderio dei suoi detrattori e la utilizza, mostrandola nuda, come mezzo di promozione e riscatto personale. Laura viene notata anche all’estero e scritturata dal regista francese Philippe Labro per il thriller in co-produzione Senza movente, dove recita al fianco di pezzi da novanta come Jean-Louis Trintignant e Dominique Sanda pur non abbandonando la produzione nostrana ed esibendosi anche in un western in coproduzione Italia-Usa (Sledge, 1970) la cui regia è attribuita a John Sturges nella versione americana e a Giorgio Gentili in quella nostrana. La verità è che il film è stato più volte rimontato contemplando varie edizioni.

Ma è durante le riprese del francese Gli sposi dell’anno secondo (1971), un film in costume di Jean-Paul Rappeneau che la Antonelli “fa il colpo della sua vita”. L’interprete è infatti Jean Paul Belmondo al quale l’attrice si lega sentimentalmente finendo sulle copertine dei magazines di tutto il mondo. Trovando però il tempo anche per le commediole erotiche italiane come, nella parte di una sexy-suora, All’onorevole piacciono le donne (1972) di Lucio Fulci, ancora con Buzzanca. Più pretese intellettualistiche (è tratto addirittura da Bataille!) vanta l’italo-belga Simona (1972) di Patrick Longchamps, dove Laura recita a fianco di Patrick Magee. Grazie anche a Belmondo, Laura entra finalmente nel giro grosso ed eccola interprete di Trappola per un lupo (1972) – coprodotto dalla Rizzoli – del grande “giallista” d’oltralpe Claude Chabrol, a fianco dell’invidiatissimo fidanzato e nella parte dell’avvenente cognata di Jean-Paul, divenendo anche sullo schermo la sua amante a danno della moglie Mia Farrow. In Italia, però, Laura continua a seguire la strada della commedia, sia pur firmata dal maestro Dino Risi: Sessomatto, film a episodi del 1973, la vede accanto a Giancarlo Giannini. Liberatosi dalle maglie della censura, esce, l’anno dopo, Mio Dio come sono caduta in basso! di Luigi Comencini, dove Laura mostra abbondantemente le sue grazie nella parte della disinvolta contessina Eugenia Di Moqueda (memorabile la scena d’amore con l’autista, Michele Placido, nel pagliaio). Nel 1974 entra nella vita di Laura Salvatore Samperi, un regista che segnerà allo stesso tempo il suo massimo momento di successo e il suo massimo momento di crisi. Il primo film di Samperi che vede protagonista Laura è Peccato veniale (1974), una sorta di film-rodaggio per il successivo Malizia (1975). Accanto a Laura, nel primo film cognatina erotica che “svezza” un imberbe onanista e nel secondo procace cameriera, c’è lo sfortunato Alessandro Momo, scomparso prematuramente, nel ruolo del ragazzino assalito dai primi pruriti adolescenziali. Malizia, oltre a segnare una sorta di pietra miliare per tutta la successiva commedia erotica italiana, conferma le qualità del regista padovano e il “materno” sex-appeal della Antonelli, la cui immagine-locandina con Laura che spolvera i mobili sulle scale, osservata voyeuristicamente dal basso da Momo, è divenuta quasi un’icona per gli aficionados della bella attrice istriana. Venere in pelliccia è, in realtà, un film del 1969 rieditato nel ’75 col titolo Le malizie di Venere, una pellicola massacrata dalla censura nostrana e ispirata da un romanzo di Leopold von Sacher-Masoch cui, per compensare i tagli, furono aggiunte nuove scene. Qui la Antonelli, insolitamente bionda, indossa i panni (si fa per dire) di una maliarda mangiauomini che non disdegna indumenti in pelle e frustini. La regia è di Max Dillmann, al secolo Massimo Dallamano.

Nel 1976 il grande Luchino Visconti ingaggia Laura come protagonista, accanto a Giancarlo Giannini, di L’Innocente, tratto da D’Annunzio, certamente non fra i migliori film del regista milanese ma per la Antonelli una grande occasione. Pare che Visconti l’abbia scelta perché l’attrice, superbamente abbigliata da Piero Tosi, gli ricordava la bellezza antica di sua madre: «Sei piena di luce come lei», le disse sul set. Il film d’autore per Laura è però solo un attimo fuggente. Prima tenta ancora la carta del “decadente” con Mogliamante (1977). A dirigerla, però, non è Visconti bensì Marco Vicario. E si vede. Ormai è comunque una diva strapagata e può serenamente rituffarsi nella commedia con Letti selvaggi (1979) di Luigi Zampa, nell’episodio Un pomeriggio noiosetto, a fianco di José Luis Lopez Vasquez o in Mi faccio la barca (1980) di Sergio Corbucci, accanto a Johnny Dorelli. Conquista un posto “d’onore” accanto ad Alberto Sordi in Il malato immaginario (1979), da Moliére, di Tonino Cervi, e recita con Pozzetto in Porca vacca (1980) di Pasquale Festa Campanile, un film che tenta il remake di La grande guerra di Monicelli con scarsi risultati. Samperi rivuole Laura in Casta e pura (1981) che, però, è assai lontano da Malizia pur tracciando un quadro crudemente realistico del Veneto bigotto. Ma forse, a nostro parere, l’occasione per la sua migliore interpretazione la dà a Laura Ettore Scola con Passione d’amore (1981), da Iginio Ugo Tarchetti. Qui l’attrice, interpreta, sfolgorante nella sua bellezza, una donna che nulla può contro il sottile ma ammaliante fascino devastante di una bruttissima (ma eccezionalmente brava) Valeria D’Obici che porterà all’autodistruzione un bel tenentino di cavalleria di fine Ottocento. I successivi film della Antononelli nulla tolgono o aggiungono alla carriera dell’attrice: da Il Turno (1981), tratto da Pirandello, di Tonino Cervi (Laura fa la ragazzina avendo già quarant’anni…) a Sesso e volentieri (1982), filmetto a episodi che un grande come Dino Risi avrebbe fatto a meglio a non girare, il vanziniano Viuuulentemente…mia (1982) che sfrutta l’Abatantuono vecchia maniera, a Rimini, Rimini (1987) di Sergio Corbucci dove Laura è una vedova inconsolabile. Per non dire di La gabbia di Giuseppe Patroni Griffi, in cui la Antonelli mette k.o. il povero Tony Musante con le sue arti seduttive, un film che vorrebbe essere sensuale e drammatico ma finisce spesso per divenire involontariamente comico.

L’ingresso del produttore Ciro Ippolito nella vita di Laura la porta a interpretare La Venexiana (1985) di un Mauro Bolognini non certo alla sua migliore prova d’autore e lo sfortunato Malizia 2000, un sequel di Malizia dove però Samperi è lontano anni luce dalle sue migliori opere (l’anno precedente la Antonelli aveva bissato con Sordi-Cervi-Molière girando L’Avaro). Malizia 2000 è il film per interpretare il quale – così assicura l’attrice – le vennero somministrate le fiale antirughe che trasformarono il suo viso in quello di una sorta di impressionante essere disfatto, foto che fecero il giro del mondo per sua stessa volontà. Naturalmente i produttori negano e la causa si trascina da anni in Tribunale (l’attrice chiese tre miliardi di risarcimento). Ma, nonostante le traversie giudiziarie, le trasformazioni fisiche, la parabola discendente delle sue interpretazioni, materna e spregiudicata, dolce e maliziosa, prorompente e infantile allo stesso tempo, Laura Antonelli resta comunque un simbolo della seduzione fra i più persistenti del cinema italiano del dopoguerra.