Intervista a Ben Wheatley

Il genio del nuovo cinema UK
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Ok Ben, vorrei fare sulla nostra rivista una bella “personale” a te dedicata. Un profilo completo di quelli che noi riteniamo i grandi registi del futuro, partendo dai loro inizi. E tu sei il prossimo della lista!

(Ride) Mi sembra ottimo… Vai con le domande!

Prima di tutto vorrei sapere come ti sei avvicinato al cinema e della tua collaborazione con Mondo Macabro, che ha prodotto il tuo esordio da regista, Down Terrace?

Quando ero un ragazzino mi divertivo a disegnare fumetti, però mi rendevo conto di non essere molto dotato. Rimanevo affascinato dal concetto di raccontare una storia in maniera visiva sequenziale. Quindi capii che, forse, il cinema poteva essere un modo alternativo per raccontare una storia per immagini. Ma, rispetto a gente come Spielberg, non ho mai avuto l’occasione di farmi le ossa con cineprese super 8 o cose simili. A 16, 17 anni, sono riuscito finalmente a mettere le mani su una videocamera, una di quelle Hi8, ma era un incubo, perché non potevi controllare in tempo reale quello che stavi girando e il riversamento su VHS costava tantissimo. E in ogni caso non avevo idea di come utilizzare quel materiale, come montarlo e così via. All’epoca non c’era Internet e non si trovavano nemmeno libri sul videomaking. Pensai subito: «Cazzo, sono fottuto!».Inoltre, le scuole di cinema erano troppo costose per me, e in Inghilterra dovevi avere almeno 25 anni per iscriverti.

Vivevi già a Londra?

Sì, e non avevo il becco di un quattrino. Alla fine sono riuscito a iscrivermi alla Facoltà d’Arte all’Università. Mi ricordo che ci fecero fare un tour di tutti i dipartimenti: c’era il laboratorio di pittura, scultura e infine ci portarono al cosiddetto laboratorio multimediale, dove c’erano anche le attrezzature per il montaggio video. Pensai: «Wow! Finalmente, so da dove iniziare». Per tre anni mi sono esercitato a girare delle “cose” in video, montarle e integrarle con qualche animazione. In ogni caso passavo molto tempo a guardare film, visto che la facoltà disponeva di un ottimo catalogo di film in cassetta o Laser Disc.

Avevi già un tuo film o un genere preferito?

Mah, non saprei. Guardavo veramente di tutto. Comunque, sentivo parlare di questo gruppetto di ragazzi più giovani che volevano fare un film horror. Si trattava di Robin Hill, suo fratello Daniel, Andy Hurst e suo fratello Mike. Visto che ero quello più esperto di montaggio, si rivolsero a me per montare il loro film. Con Robin e Daniel diventammo immediatamente amici e Robin ha anche scritto insieme a me Down Terrace. Comunque Rob e Dan erano dei veri cinefili e avevano una collezione impressionante di VHS.

Anche i cosiddetti “video nasties”?

Certo! Avevano di tutto e grazie a loro ho visto film come Cannibal Holocaust. Ma vedevamo veramente di tutto, come i vecchi film di Powell, o i film di Scorsese e Peckinpah. Poi, contattammo Andy Starke, il co-fondatore di Mondo Macabro, che era uno dei pochi ad avere una sala di montaggio online e gli chiedemmo se la potevamo usare. Andy ha una collezione di film incredibile, compresi i mondo movies e tutti i film degli anni 50 o 60 che in Inghilterra non si potevano trovare. Quello fu il mio primo contatto con Andy Stark. Comunque, finito il college iniziai a scrivere sceneggiature con Amy Jump, con la quale stavo insieme da anni e che poi avrei sposato. All’epoca ero senza lavoro e accettavo qualsiasi proposta: assistente di produzione o montaggio, disegnatore di Storyboard e cose del genere. Ma erano lavori troppo saltuari. Decisi quindi di tornare a Brighton, dove trovai lavoro per una compagnia di produzioni per la Tv. Per loro feci cose tipo interviste alla gente per strada o pubblicità a livello locale veramente terrificanti come qualità. Poi Internet iniziò a prendere campo e realizzai delle cose da mettere online.

In cosa consistevano questi lavori?

Niente di particolare, solo dei mini-servizi sull’ambiente e l’ecologia. Comunque, avevo quasi rinunciato all’idea di fare cinema perché non avevo idea di come entrare in quel mondo. Mi consolavo con l’idea che fare film era appannaggio solo di gente ricca, con le giuste connessioni o una famiglia alle spalle. Più che altro era un alibi per me stesso, ma tant’è. Però non ero del tutto scoraggiato e continuai a scrivere; poi passai alla realizzazione di cortometraggi, che mettevo online.

Eri tu il produttore o avevi qualche finanziatore?

Macché, facevo tutto da solo: sceneggiatura, regia, montaggio. I corti li realizzavo nelle pause di lavoro o durante l’estate e l’unica mia collaboratrice fissa era Amy. Qualche tempo dopo, la compagnia di produzioni per la quale lavoravo fallì e Amy rimase incinta. Quindi dovevo assolutamente trovare un altro lavoro. Per un attimo ho anche preso in considerazione l’idea di ricominciare da zero in un altro campo, magari nell’industria dei videogiochi. Comunque, i miei corti online avevano attirato l’attenzione di parecchia gente e così mi arrivarono offerte di lavoro da parte di varie compagnie per realizzare pubblicità o serie tv. Diciamo che questo fu l’inizio della seconda fase della mia vita. Mi dedicai a tempo pieno a dirigere episodi di alcune sitcom.Imparai a usare vere cineprese e a lavorare con gli attori. Per farla breve, nel giro di due anni ho realizzato almeno un centinaio di lavori. Quindi, chiesi al mio agente se mi poteva aiutare a dirigere qualche serie Tv drammatica. Lui mi disse che era quasi impossibile, perché al mio attivo avevo solo commedie e nessuno mi avrebbe dato una chance se non avevo materiale drammatico da mostrare. A quel punto mi dissi: «Ma vadano a farsi fottere!» e decisi di realizzare il mio primo film. Così nacque Down Terrace.Coinvolsi subito nell’operazione Robin Hill e Andy Starke. Io avevo già scritto la sceneggiatura e tutto il film doveva essere ambientato all’interno di una casa. Decidemmo così di utilizzare la casa del padre di Robin come unica location.

A questo punto, c’erano solo da trovare i soldi…

Già. Comunque io e Robin avevamo già scritto delle sceneggiature pensando a Hollywood. Sai, delle storie d’azione e gangster, in stile Tarantino. Ma nonostante le avessimo mandate a destra e manca, nessuno ci aveva mai risposto. Magari erano considerate bellissime oppure delle cagate, ma non avevamo avuto nessun riscontro. A quel punto, con Robin ci siamo detti: «Lasciamo perdere questi progetti hollywoodiani e concentriamoci su qualcosa che conosciamo e che sia facile da realizzare».  E così io, Robin e Andy ci siamo frugati in tasca e ognuno di noi poteva metterci al massimo duemila sterline. Quindi il budget iniziale per Down Terrace era di seimila sterline. Abbiamo coinvolto  più persone possibile che lavorassero gratis e siamo arrivati alla conclusione che col budget a nostra disposizione avevamo un totale di 8 giorni per girare il film. Abbiamo pianificato tutto in anticipo, cronometro alla mano, e così lo abbiamo realizzato.

Da dove hai tratto l’ispirazione per questa famiglia disfunzionale, composta principalmente da criminali? Mi sembra che il tema delle famiglie conflittuali o, diciamo, poco normali, sia molto ricorrente nei tuoi film…

Beh, io sono convinto che le famiglie normali al 100% non esistano. Non vorrei sembrare assolutista, ma credo che in ogni famiglia ci sia un membro poco normale, tipo uno zio che è finito nei guai per aver fatto qualcosa di sbagliato o una madre che nasconde qualche terribile segreto. Ecco, secondo me in ogni famiglia c’è sempre qualcosa o qualcuno di poco normale… non posso credere che sia vero solo per la mia! (ride) Diciamo che tutte le relazioni o i conflitti rappresentati in Down Terrace sono cose che ho vissuto personalmente; ovviamente, non in maniera così estrema o violenta e senza arrivare all’omicidio. Per intenderci, nel film uno dei personaggi dice: «Hanno ucciso mio padre quando avevo 9 anni», mentre nella realtà mio padre è morto in un incendio, ma è comunque una grave perdita che ho subito. Anche per le scene più violente non è che mi sia ispirato ai film, perché c’è molto del mio vissuto, anche se non vorrei scendere nei particolari. Quindi per me e per Robin, scrivere Down Terrace ha assunto un doppio significato: esorcizzare certe esperienze poco piacevoli e toglierci lo sfizio di fare una specie di crime-thriller. A dire il vero, mentre realizzavamo il film ero ancora un po’incerto se avrebbe funzionato o meno. Poi, al montaggio sono rimasto molto soddisfatto.

Una cosa che mi ha molto colpito del film è l’ambiguità del finale. L’ambiguità caratterizzerà anche Kill List e Killer in Viaggio…

La scelta di lasciare sempre dei finali abbastanza ambigui nei miei film, è un po’una reazione ai tempi in cui dirigevo sitcom, con interminabili riunioni in cui veniva analizzato il copione per evitare ogni ambiguità o elementi illogici. Spesso contribuivo anch’io alla scrittura e mi dicevano: «Ma questa cosa non ha senso». Io rispondevo: «Beh, è divertente proprio per questo» e mi convincevo sempre di più che odiavo questa mania di dover spiegare ogni cosa. Sono convinto che il pubblico sia molto più intelligente di quanto credono certi sceneggiatori o produttori. In questo senso le serie tv americane sono molto meglio delle nostre, perché i personaggi hanno spazio per rivelare la loro natura e spesso basta uno sguardo per far capire le loro dinamiche.

Secondo me, certe ambiguità potrebbero essere anche il punto di forza di un film o di una serie, per il piacere di far funzionare il cervello e magari  interpretare a piacimento quello che si vede sullo schermo…

Proprio così, perché quando vediamo un film inizia una specie di conversazione interiore nel nostro cervello tra quello che l’occhio sta vedendo e come noi lo interpretiamo. Diciamo anche che cogliere certi dettagli apparentemente secondari in una storia ci fa sentire più intelligenti.Nei miei film mi diverto a disseminare stranezze o indizi qua e là, e sono molto felice quando qualcuno del pubblico li coglie o me ne dà una sua interpretazione.

Io la trovo una cosa ottima, specialmente nei tuoi film, perché dà allo spettatore il potere di analizzare una scena o l’intero film a suo piacimento, anche se quelle magari non erano le intenzioni del regista o dello sceneggiatore…

Sai, spesso mi succede di comprendere certe cose o certi significati nascosti nei miei film dopo averli finiti e montati. Per farti un esempio, durante la festa di fine riprese per Kill List stavo parlando con Michael Smiley e lui mi disse che alla fine il suo personaggio era un cattolico praticante. A quel punto gli ho risposto: «Ma cosa stai dicendo?» e mi sono messo a ridere. Poi, però, riguardando il film mi sono reso conto che aveva ragione lui. Il personaggio di Gal ha un rapporto un po’conflittuale con la religione ma è un cattolico convinto. E io non avevo fatto caso a questo aspetto…mi sa che la mia comprensione delle religioni è un po’volubile (ride)

Quando ti è venuta l’ispirazione per Kill List?Mentre giravi Down Terrace o dopo? E come è stato accolto Down Terrace quando è uscito?

Dunque…Down Terrace l’abbiamo finito nel 2009 e lo abbiamo presentato in anteprima al Fantastic Fest di Austin, poi lo proiettammo anche al festival di Rotterdam. Entrambe le proiezioni sono andate bene e mi immaginavo che prima o poi qualcuno mi avrebbe chiesto quale sarebbe stato il mio prossimo film. Visto che non volevo starmene con le mani in mano ad aspettare l’esito commerciale di Down Terrace e di tutti gli altri film indipendenti che stavano uscendo quell’anno, mi sono  messo subito al lavoro su tre progetti: uno era Kill List, un altro era I Macrobane, una commedia che sto ancora sviluppando con Nick Frost e poi un eventuale prequel di Down Terrace. Comunque, quando alla Warp film mi hanno chiesto quale volevo realizzare, ho proposto Kill List, che ho iniziato a scrivere a Natale del 2009. Dopo diverse stesure, abbiamo subito cominciato a girarlo.

Kill List non è un film facile da catalogare, perché è un gangster movie con elementi horror.  Ma il pubblico e la critica lo hanno definito principalmente un horror. Quindi era una scelta consapevole o un’ispirazione del momento?

Mi ricordo che quando Down Terrace era solo un’idea chiesi ad Andy Starke cosa ne pensasse di produrre un crime movie e lui mi rispose: «Ma sei matto? I noir inglesi non piacciono più e non si vendono…perché non fai un horror?». Io gli risposi: «Beh, a me i noir inglesi piacciono un sacco. Poi faremo un horror».

Quindi era una specie di promessa?

Un po’ sì, ma principalmente era una scelta pragmatica, perché i noir inglesi non tiravano più come genere e l’horror era più facile da vendere a livello internazionale.

Eppure, secondo me, la parte noir è molto efficace. Personalmente lo considero un film composto da tre parti diverse. La prima decisamente drammatica e incentrata sui conflitti familiari della coppia, la seconda in cui prevale l’elemento noir e l’ultima dove il tono diventa horror…

Sai, per me questa suddivisione non è così netta, perché mi sono divertito a mescolare i toni con indizi visivi più o meno evidenti a una cadenza abbastanza precisa (diciamo ogni 5 minuti), come il logo iniziale che torna alla fine, o la scena in cui Jay gioca con suo figlio e in un certo senso anticipa la lotta col gobbo dell’ultima sequenza. Definirei quindi Kill List un film con una doppia struttura che scorre in parallelo e questa era la mia intenzione fin dall’inizio.

 In effetti, Kill List è, a mio parere, un film che va visto più volte per coglierne tutte le sfumature…

Sai, l’altra sera mi sono rivisto Shining, che secondo me è un altro film dalla doppia struttura. Certe cose le intuisci già dall’inizio, ma poi capisci che ha più livelli di lettura, dosati consapevolmente e controllati alla perfezione. In Kill List, ad esempio c’è la sottotrama relativa alla (per definirla in modo semplice) maledizione lanciata su Jay, che all’inizio sembra avere poca rilevanza, ma poi diventa sempre più importante.

Ecco, ti volevo chiedere proprio questo. Perché è proprio Jay il prescelto?

Qui torniamo a quello che ti stavo spiegando prima a proposito della doppia struttura del film. Apparentemente non c’è un motivo specifico per cui Jay debba diventare il predestinato o, a seconda di come la vogliamo vedere, la vittima della maledizione. Io mi sono limitato a spargere qualche indizio, come il suo carattere o il suo atteggiamento verso la religione. Per tutto il resto, volevo che fosse il pubblico a immaginarsi il motivo per cui Jay diventa il prescelto, rendendo la visione ancora più coinvolgente. Un po’come Il grande sonno di Howard Hawks. Immagino che se avessero chiesto a Chandler o a Faulkner di cosa trattasse veramente il film avrebbero risposto: «Non ne abbiamo idea».

Un’altra cosa che volevo chiederti a proposito di Kill List riguarda la lista di persone da uccidere. C’è il pedofilo, un altro criminale e poi c’è il prete. Per quale motivo dovevano uccidere il prete?

Il motivo per cui ognuno della lista dovesse morire è un altro di quegli elementi che ho volutamente lasciato sul vago. In realtà non sappiamo mai cosa abbiano veramente fatto. Anche quello che tu chiami “il pedofilo”, siamo proprio sicuri che lo fosse? Noi non vediamo mai il filmato che Jay guarda con orrore, ma forse era un caso che fosse in casa della vittima. Hai presente quando i giornali ogni tanto parlano di persone coinvolte in traffici pedofili solo per aver trovato nei loro computer delle foto compromettenti. Questa, secondo me, non è una prova schiacciante che uno sia realmente un pedofilo. Anche nel film non ci sono mai delle prove schiaccianti, solo dei giustizieri che uccidono persone che neanche reagiscono. E questa di lasciare il pubblico nel dubbio che queste persone potrebbero essere innocenti era un’idea che avevo fin dall’inizio. La stessa ambiguità l’ho voluta applicare anche al modo in cui ho girato le uccisioni. Volevo che il pubblico si chiedesse: «Perché il prete viene ucciso con una pistola senza troppi dettagli, mentre all’altra vittima viene sfondato il cranio a martellate in modo così orribile ed esplicito?».

Mi sono chiesto spesso, come altri spettatori e critici, se la moglie di Jay facesse parte del complotto o della congrega…

No, non credo proprio.

Questa teoria è nata grazie alla famosa scena in cui, prima di morire, la moglie scoppia a ridere…

Già. Me l’hanno chiesto spesso il motivo di quella risata. Però ricordiamoci che lei lotta come una disperata per difendere il figlio contro uno sconosciuto mascherato. Solo alla fine scopre l’identità del suo assassino e la risata è più una reazione isterica e incontrollata che qualcosa di beffardo o consapevole. In effetti, è stata una scena molto complicata e controversa perché anche il bambino muore, anche se non viene mai mostrato interamente il suo cadavere. Immagino che sia stato un bello shock per gli spettatori con figli.

Beh, anche per le coppie in generale immagino. Perché, nonostante tutti i litigi e le incomprensioni, Jay e sua moglie ancora si amano e si spera che il loro amore possa sopravvivere all’orribile esperienza a cui sono sottoposti…

Anche questa cosa della moglie uccisa da suo marito ha creato una valanga di dibattiti, specialmente in America, dove in genere il pubblico partecipa più attivamente alle discussioni sui film. Qualcuno addirittura sosteneva che la loro vita coniugale fosse un inferno perché vivevano in una casa orribile. Ehi, quella è veramente la mia casa! (ride)

La scena del rituale pagano nell’ultima parte del film mi ha ricordato molto The Wicker Man. È una citazione voluta o casuale?

Non direi. Cioè io mi ricordo di aver visto The Wicker Man quando ero piccolo, ma poi non l’ho più rivisto. Diciamo che è stata un’ispirazione quasi involontaria. Forse sono stato più influenzato da film come Perché un assassinio o Va e uccidi, perché sono sempre stato affascinato dalle teorie di complotto o dal concetto di lavaggio del cervello. E per come ho voluto caratterizzare i componenti del culto mi sono forse più ispirato a In corsa col Diavolo, hai presente quel piccolo film con Peter Fonda?

Parliamo di Killer in viaggio. Ti ci sei messo a lavorare subito dopo Kill List  o ti sei preso un po’ di tempo libero per pensarci? In molti si aspettavano che tu progettassi un altro horror.

Diciamo che con Kill List ho esaurito (almeno per un po’) la mia vena horror e volevo dedicarmi a qualcosa di diverso. Quindi mi sono preso una piccola pausa per pensare al mio prossimo progetto, ignorando quello che il pubblico si aspettava da me.

Però non hai abbandonato del tutto l’idea di tornare all’horror, visto che hai partecipato a The ABCs of Death e vuoi fare un prequel di Kill List…

In effetti sì, ma il prequel è ancora allo stato embrionale. Comunque, Killer in viaggio era un progetto sul quale avevo già intenzione di lavorare dopo le riprese di Down Terrace, ma poi abbiamo optato per Kill List ed è stato rimandato.

Anche in Killer in viaggio il fulcro narrativo è costituito da una coppia, sebbene non conflittuale come quella di Kill List. Cioè la loro è una strana alchimia…

Beh, io vedo Killer in viaggio come una sorta di film speculare a Kill List. Tendo a definirli entrambi dei road movie con dei personaggi che vanno in giro ad ammazzare della gente. In Kill List i due killer uccidono personaggi che rappresentano una parte della società contemporanea, e lo stesso accade anche in Killer in viaggio anche se con toni e sociologie di vittime molto diverse. Ecco, per me Killer in viaggio è la versione comica di Kill List.

Come commedia è a mio avviso riuscitissima e piena di gag irresistibili, come quando i due protagonisti fanno sesso nel camper o in tutta la sottotrama del cagnolino. Quindi come definiresti Killer in viaggio?

Una commedia romantica con omicidi. (ride)

Sì, certo, però alla fine lui salta e lei no…

Diciamo che lui è l’ultima vittima.E poi lui è una grossa delusione per lei, perché all’inizio le dice che ne farà la sua musa e che lei lo seguirà per sempre, ma poi si rivela inadeguato. In sostanza, diventa lei quella che decide tutto e ne rimane delusa, tanto da disinteressarsi anche della sorte del cagnolino.

L’hai scritta tu la sceneggiatura?

No, perché la stesura iniziale era stata scritta da Alice Lowe e Steve Oram, che sono anche i due protagonisti del film. Mia moglie Amy ne ha riscritto qualche parte e io mi sono limitato a dare qualche suggerimento.

Io pensavo che l’avessi scritta tu, soprattutto per le dinamiche di coppia abbastanza strane, che sono ricorrenti nei tuoi film…

Ma no… io li definirei una coppia normalissima (ride). Direi che un po’riflette la dinamica di coppia che abbiamo io e Amy. Sai, la tipica situazione in cui lui mostra a lei tutte le cose che gli piace fare e pretende di insegnargliele, fino a quando lei diventa molto più brava di lui? Ecco, quelli siamo io ed Amy, soprattutto per ciò che riguarda la scrittura delle sceneggiature.

Mi puoi parlare di questo misterioso prequel di Kill List? Mi hai detto che dovrebbe essere completamente diverso dall’originale e che lo vorresti girare in bianco e nero, ambientandolo durante la Guerra Civile Inglese. Mi puoi dire qualcosa in più, senza ovviamente rivelare troppo?

Beh, è un progetto ancora un po’incerto, ma ci stavo pensando mentre giravo Kill List. Mi immaginavo una storia incentrata sugli antenati dei due protagonisti. Un po’come in Down Terrace, in cui avevo immaginato i protagonisti come discendenti da una stirpe secolare di criminali, con tanto di albero genealogico. Mi sarebbe piaciuto poter mostrare un vero albero genealogico di una famiglia criminale, cose che esistono veramente, ma a cui è quasi impossibile accedere perché sono informazioni riservate alla Polizia. E comunque, Down Terrace era basato sul concetto di tradizione famigliare e di come certi talenti vengono trasmessi da padre in figlio. Quindi per il prequel di Kill List volevo usare lo stesso concetto e mostrare gli antenati di Jay e Gal, alle prese con la loro tradizionale occupazione di sicari ma in un contesto storico differente.

Ma perché girarlo in bianco e nero?

Perché ho sempre voluto girare un film in bianco e nero. Magari usando delle lenti particolari, per ricreare l’atmosfera di un mondo che non esiste più. Che poi è la stessa tecnica che ho usato per girare A Field in England, in cui ho voluto narrare questa storia ottocentesca di un gruppo di disertori, inseguiti dai soldati in un campo di erba altissima, che rimangono prigionieri in una radura che li protegge dall’esterno. Ho usato pochissimi effetti speciali e ho sperimentato con vari obiettivi per dare l’impressione che intorno a questa radura si scateni una vera battaglia con spari e colonne di fumo, mentre i protagonisti rimangono all’interno di questo campo maledetto dove sperimentano un trip allucinogeno.

Ma è questo il tuo nuovo film? O è ancora in produzione?

Ancora non lo abbiamo ufficializzato, ma è il mio prossimo film in uscita (Nota: A Field in England uscirà in Inghilterra il 5 Luglio in contemporanea nei cinema, in dvd, Video on Demand e tv via cavo). E sono già al lavoro sul mio prossimo film, Freakshift.

È un film di fantascienza?

Non proprio. È ambientato in una specie di realtà parallela dove di notte dei mostri escono dal sottosuolo e la polizia deve sterminarli. Lo abbiamo scritto insieme io ed Amy ed è ambientato in America, ma lo gireremo in Inghilterra.

Cosa ne pensi della nuova generazione di registi horror inglesi che si stanno affermando come Neil Marshall o James Watkins con Eden Lake? Mi sembra un bel periodo per il cinema di genere inglese ed è anche resuscitata la Hammer.

Non è che li consideri proprio degli artisti emergenti. Ricordiamoci che Neil Marshall ha diretto Dog Soldiers dieci anni fa. Preferisco pensare alla cosiddetta new-new wave di registi, quelli che riescono ad affermarsi tramite il web. Penso a Black Pond di Tom Kingsley o a gente come Peter Strickland. Quelli sono, secondo me, veri talenti, che con budget limitati riescono a fare opere veramente innovative, senza guardare troppo al modo tradizionale di fare cinema.E penso che grazie al digitale e alle nuove piattaforme di distribuzione ne emergeranno sempre di più di talenti così. Diciamo che sento più affinità con loro che con i registi che citavi prima. E non scordiamoci che Dog Soldiers aveva un budget di 3milioni di sterline.