Intervista ad Andrea Ferraris e Renato Chiocca

Parlano gli autori di La cicatrice
Featured Image

Buongiorno. Presentatevi ai lettori di Nocturno. Qual è il vostro percorso artistico?

Andrea Ferraris: Sono scenografo di formazione da sempre interessato al fumetto. Ho frequentato un corso di fumetto a Bologna in cui insegnavano Marcello Jori e Vittorio Giardino. In quel periodo conobbi Andrea Pazienza e Magnus. Ho collaborato per anni con la Walt Disney Italia realizzando numerose storie per Topolino, quindi sono passato a lavorare per Egmont sempre disegnando paperi. Da qualche anno ho cominciato a lavorare su delle graphic novel, Bottecchia uscita per Tunuè, realizzata con Giacomo Revelli, Churubusco mio primo lavoro come autore completo per Coconino Press edito anche in Francia, Stati Uniti e Messico.

Renato Chiocca: Prima leggevo fumetti, avevo un club con gli amici e facevamo anche una fanzine. Poi mi sono laureato in Scienze della Comunicazione, ho frequentato il seminario propedeutico di regia al Centro Sperimentale di Cinematografia e ho cominciato a lavorare per il cinema, il teatro e la televisione. Ho girato documentari in Himalaya, a Lampedusa e in Tunisia, e tanti cortometraggi, spot, videoclip e programmi tv. Tra cinema e fumetto ho diretto Mattotti, un documentario sull’opera di Lorenzo Mattotti e Una volta fuori, un cortometraggio liberamente ispirato a Gli innocenti di Gipi. Insomma, il fumetto non l’ho mai abbandonato.

La cicatrice racconta un contesto lontano dal vostro vissuto quotidiano. Come vi siete documentati? Vi siete recati sul posto oppure avete raccolto testimonianze?

AF: L’occasione mi si è presentata grazie all’invito del Consolato del Messico di esporre una quarantina di tavole originali di Churubusco all’Istituto Italiano di Cultura a Los Angeles. Parlando con Igort, che stava aprendo la sua nuova casa editrice Oblomov, è nata l’idea di andare a visitare quella frontiera che avevo illustrato in Churubusco e di preparare uno spillato per Lucca che raccontasse questo viaggio. Conoscevo il lavoro di Renato e, essendo ottimi amici, gli ho chiesto di lavorare insieme a me al libro. In effetti, è difficile separare il testo dal disegno, è stato più un vero lavoro di squadra.

RC: Prima di partire ho incontrato Tony Sandoval, è stato lui che ci ha suggerito di andare a Nogales. Ho cominciato a indagare su quella realtà e, per la prima parte del libro, ho proposto ad Andrea una storia realmente accaduta lì. Per la seconda parte abbiamo contattato invece diverse associazioni che si occupano di migrazione a Tucson, la città statunitense più vicina al confine di Nogales, e siamo partiti, con le pagine bianche. Abbiamo cercato di immergerci in quella realtà documentando con video e fotografie, che poi ci sono tornate utili sia per i testi che per le immagini. Abbiamo studiato insieme l’impostazione delle tavole, le inquadrature, il ritmo visivo del racconto. Si, un vero lavoro di squadra.

Avete scelto la brevità e un registro che nulla concede alla retorica facile e al sentimentalismo compiaciuto. Raccontateci di più di queste vostre scelte di storytelling, sia dal punto di vista dello sceneggiatore sia dal punto di vista dell’illustratore…

AF: Appunto, è difficile fare una vera divisione dei ruoli. Abbiamo ragionato insieme su quali storie raccontare e quale struttura dare al libro. È stato un continuo rimpallarsi idee, spunti, intuizioni. Anche quando disegnavo, mostravo sempre a Renato il lavoro per poter ragionare su cambiamenti ai testi e ai disegni, e viceversa.

RC: Carlo Mazzacurati, che conobbi per Mattotti, la chiamava “la giusta distanza”. Come ti dicevo, volevamo noi per primi provare delle emozioni, che avremmo poi tentato di raccontare al lettore. Ci fa piacere che tu le abbia provate. Diciamo che nella brevità abbiamo cercato l’evocazione, senza rinunciare alla complessità. Con rispetto, e pudore.

Renato, tu sei anche regista. Quali differenze hai trovato fra raccontare per il cinema e raccontare a fumetti?

RC: L’evocazione appunto, lo spazio bianco. Ancor più del cinema, credo che il fumetto, grazie anche alle sue ellissi, abbia una straordinaria forza evocativa. Sia nei testi, nei disegni, che nella struttura del libro e delle pagine, abbiamo cercato di lavorare su pochi elementi forti, essenziali. Poi dal punto di vista del linguaggio alcune sequenze sono nate dalle riprese fatte durante il viaggio. Solo che invece di montarle sullo schermo, le abbiamo ricreate sul foglio, con lo stile visivo di Andrea.

Le tematiche toccate dal vostro libro sono estremamente delicate e non una presa di posizione non è semplice. Fino a che punto un autore può essere obiettivo, e fino a che punto è consentito prendere una posizione senza fare della propaganda facilotta?

AF: Ci siamo preoccupati di ascoltare le persone che vivono quella realtà. Cercando di riportare il più possibile le sensazioni che ci trasmettevano. La domanda che ponevamo a chi stavamo intervistando era sempre: “Quanto il muro ha cambiato la tua vita?“. Quindi, le persone prima della politica.

RC: Siamo andati sul confine proprio per maturare un sguardo personale, soggettivo, tutt’altro che obiettivo. L’esperienza diretta, se sedimentata, alimenta lo spirito critico, rifugge dalla propaganda, e poi si, le vite che abbiamo incontrato superano qualsiasi presa di posizione, ne impongono una loro.

Qual è la potenzialità del fumetto, in termini politici, nel contemporaneo?

AF: Il fumetto come qualsiasi altro mezzo può cambiare la prospettiva di chi legge. Si tratta di trovare storie che raggiungano il cuore della gente. Che riescano a dare una chiave di lettura della realtà.

RC: Il fatto stesso che il fumetto d’autore si stia affiancando sempre di più al fumetto popolare, in termini di comunicazione di massa, è già di per sé espressione di una potenzialità politica. Ma è sempre una questione di stile.

Avete progetti in cantiere?

AF: Ho scritto e sto disegnando una storia di oltre 200 pagine. Un fatto accaduto in Sicilia nel 1831 a Sciacca, il paese di mio nonno. Il libro dovrebbe essere pronto per la prossima Lucca e uscirà in contemporanea sia in Italia che in Francia.

RC: Poi insieme abbiamo realizzato un altro racconto sul confine tra Messico e Stati Uniti, verrà pubblicato su Internazionale, è una sorta di spin-off de La cicatrice. Non ci è bastato un libro per raccontare le storie che abbiamo raccolto laggiù.