Intervista ad Alberto Bogo

Quattro chiacchiere con il regista di Terror Take Away
Featured Image

Alberto Bogo è molto creativo. Lo chiamo al telefono mentre sta scrivendo – di sabato mattina, col sole, 27 gradi nell’aria genovese – un thriller erotico che – lui sostiene – mi piacerebbe. Una storia più internazionale e mainstream, in una camera da letto con tre persone… Alt:  tre in che senso? Uomo, donna, donna o Donna, uomo, uomo? Uomo donna, donna, mi dice. Ok, allora lo possiamo attendere con impazienza. Bogo è in uscita a fine mese con Terror Take Away, del quale vi abbiamo già parlato, dicendone il bene che merita, sul presente sito. Il film è particolare, sia per la strategia distributiva seguita, sia per una serie di iniziative ad esso collegate che Bogo stesso passa a illustrarmi…

Il 31 usciamo in tutta Italia, in diversi cinema. Prima ci saranno una serie di anteprime, a Genova, a Roma, al Barberini, dove stiamo lavorando anche a un evento collegato al Fantafestival. Un pre-Fantafestival, una cosa abbastanza grossa. Se il film poi funziona, come mi auguro, faremo anche altre proiezioni più avanti. Molti ce l’hanno già chiesto. Si tratta di un sistema abbastanza nuovo. È la prima volta che loro, quelli della MovieDay, agiscono un po’ come coproduttori, e hanno curato insieme a Lucio Basadonne, la persona che sta facendo la campagna del marketing, questa campagna innovativa, un po’ ispirata a Wolf of Wall Street, tramite dei video in cui gli attori parlano direttamente al pubblico. Si tratta di un’iniziativa inedita per l’Italia. Così come è inedito il Bogovision, che è un sistema ispirato all’odorama degli anni Sessanta. L’ho testato io stesso l’altro giorno, c’è anche un video… Mi avevano mandato questi odori e ho dovuto selezionarli…

Spiegami bene di che cosa si tratta e come funziona il Bogovision?

Allora, i primi ad avere preso i biglietti per le anteprime in sala, hanno diritto all’ingresso nel cinema ad avere questa specie di foglio, che si apre, e dentro il quale ci sono diverse parti da grattare. In particolari momenti importanti del film, che ho scelto io, ad esempio: c’è un attrice che dopo essersi spogliata, si odora l’ascella; ecco, io lì ho messo un odore, quindi dieci secondi prima di quella scena, a lato dello schermo si accende un pallino rosso che avvisa lo spettatore che deve grattare questo odore. Gli odori sono in sequenza in cinque momenti del film, per cui è semplicissimo orizzontarsi.

Quindi, se io sono lì in sala, quando vedo il primo pallino gratto dove deve sprigionarsi il primo odore…

Esattamente. E posso assicurare che l’odore è veramente molto forte. Ce ne sono un paio che mi stavano facendo sentire male…

Ma ce n’è anche uno legato alla pizza?

Ti svelo questa chicca: ci hanno mandato due odori, pizza e rosmarino. Io ho scelto quello detto “rosmarino” perché mi richiamava di più la pizza. L’odore di pizza, invece, non sapeva così tanto di pizza. Poi abbiamo l’odore del fuoco, quando c’è una scena di bruciatura di un’attrice, e lì si sente un odore di metano. Diciamo che con Lucio Basadonne abbiamo fatto un lavoro divertente di selezione di questi odori terribili, compreso quello di pesce morto che è una cosa davvero stomachevole…

Quindi ci saranno dei fortunati che si potranno gustare (è il caso di dirlo) il film in questa sorta di odorama…

Sì, lo abbiamo chiamato Bogovision per una questione di diritti…

Più in generale, da dove salta fuori l’idea di questo film? È da un po’ che ci stai sopra, perché mi ricordo che ne parlavi già un anno e mezzo fa…

Sì, più o meno è cominciato allora. Io avevo girato un cortometraggio in Super 8, nei pressi di Londra. Ho un amico che mi aveva comperato qualcosa come 12 minuti di pellicola, per cui ho girato con sempre “buona la prima”. Io recitavo nella parte di un assassino e lui faceva la fotografia. Parliamo del 2015, lo abbiamo fatto solo per divertimento, lo abbiamo fatto passare a un paio di festival, poi basta. C’eravamo messi in testa di tenerne solo dieci copie e poi di venderle, quando fossi diventato famoso (ride). Era un corto con una struttura molto scheletrica, molto sperimentale, fine anni Sessanta. Era la storia di una ragazza che ordinava delle pizze: il giorno prima si era ubriacata, aveva mangiato troppo, per cui aveva questa sorta di incubo loop dove, non dando la mancia al pizzaiolo, al porta-pizze, questo la perseguitava e la inseguiva per la casa con oggetti di vario genere. Tutto questo sono diventati i primi dieci minuti del film che ho poi realizzato. Io nel corto interpretavo il porta-pizze assassino.

Dopodiché?

Dopodiché, dovevo fare un film dal titolo Land of Halloween, in Svizzera. C’è ancora un teaser su youtube, con un produttore del quale non posso fare il nome, perché mi ha paccato. Doveva essere un film costoso, da 600mila franchi, una specie di variazione sul tema di La città verrà distrutta all’alba. Una cosa girata in POV con dei militari: un horror-action serio. Poi, però, saltò. Mi paccarono. Allora, la produttrice, Sonia Passarelli, che all’epoca era ancora mia moglie, mi suggerì di scrivere una storia partendo dal cortometraggio di Terror Take Away. Sì, ma come cazzo lo produciamo? In realtà, la misericordia ha voluto che David Ferrando, già mio assistente in Extreme Juke-box, tornasse con un po’ di spiccioli dall’Inghilterra e si è quindi associato a noi nella produzione. Insieme a Lucio Basadonne, che ha fatto tutta la campagna marketing. Siamo riusciti a fare un casting grosso: sono arrivati più di 1000 curricula da tutta Italia. E poi sono entrati un po’ di attori di teatro importanti, così abbiamo reso il progetto un po’ più credibile. Un po’ come il mio primo film, Extreme Juke-box, quando, dopo l’ingresso nel cast di Pino Scotto, tutti volevano partecipare. Qui ho avuto Marco Sciaccaluga, che è una figura importante del teatro italiano. Ed è abbastanza clamoroso che si sia messo a fare un horror! Diciamo che il progetto è cresciuto un po’ da solo, con l’entusiasmo di vecchi collaboratori e di nuovi.

Anche in Terror Take Away ti sei mosso sul crinale tra serio e faceto. Che è un po’ la tua linea naturale, come narrazione. O no?

Io mi fermo un passo prima del demenziale, anche qui. Si tratta di un film che ho scritto molto di stomaco e che quindi contempla – credo – una cattiveria vera. L’argomento mi toccava nei nervi, profondamente. Poi arrivavo dalla delusione di questo film saltato ed ero quindi molto incazzato quando ho scritto questa sceneggiatura. E credo che questo si percepisca.

Diciamo qualcosa degli attori…

Ci ho messo tre messi a sceglierli. In particolare, è curiosa la storia di Roberto Serpi, che è un mio vicino di casa, abitiamo un chilometro l’uno dall’altro. Lo avevo visto in diversi spettacoli, ma non ci conoscevamo. Quando mi sono fatto consigliare da amici un attore di peso che potesse reggere questo ruolo, mi hanno fatto tutti il suo nome. Abbiamo fatto il provino in mezza giornata. Non riuscivo a trovare il personaggio principale, ero molto nelle canne su questa cosa qua. Lui ha fatto un provino ispirato al monologo di American Psycho. Lo ha fatto a memoria, con un foglio in mano. E lì ho capito che era proprio di un altro livello, lui. Con tutti gli attori ho fatto una lunga preparazione, con ognuno di loro seguendo un metodo diverso…

In che senso?

Con Roberto abbiamo lavorato molto su una costruzione psicologica, raccontandogli molto delle mie cose personali. Cioè, ha attinto da stati emotivi miei. Non volevo rappresentare solo un imprenditore stronzo, è abbastanza chiaro che io voglio bene a questo personaggio, perché una parte di me è così.

Ti identifichi con lui?

Sì, con lui e anche con il nerd, Andrew (Andrea Benfante). Un po’ con entrambi. Per quanto riguarda gli altri, alla ragazza, Noemi Esposito, ho dato delle canzoni per ispirarsi, canzoni di Madonna, anni Ottanta, e le ho chiesto di muoversi su quei ritmi. Fiorenza Pieri – che fa Adelaide, la protagonista cattiva – invece, ha voluto riscrivere con me tutta la sua parte…

Parli di quella con i bei piedi…

Esattamente. Lei è un’attrice professionista e ha fatto anche delle regie di teatro. E mi ha stimolato a scrivere delle cose nuove su di lei, nel copione.  Io credo molto alla recitazione, credo molto a questa filosofia di dare spazio agli attori, ai quali bisogna volere bene. Intendevo farlo nel primo film ma non ci sono riuscito, perché non ne avevo il tempo e questo mi ha fatto stare male. Per cui, questa volta, invece, mi ci sono applicato al massimo…

poster 1