Intervista a Peter Zeitlinger

Uno dei più importanti direttori della fotografia nel panorama cinematografico internazionale
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Tra le personalità più eminenti del Riviera International Film Festival 2018 merita un posto di rilievo Peter Zeitlinger, direttore della fotografia, ma anche regista e sceneggiatore, nato a Praga, ma austriaco di adozione e, senza dubbio, uno dei più importanti direttori della fotografia nel panorama del cinema internazionale. La sua carriera inizia nel 1988 quando realizza Tunnelkind, un film sulla cortina di ferro. Da questo momento compie una inarrestabile parabola ascendente che lo porta alla collaborazione con il regista tedesco Werner Herzog, iniziata nel 1995: da Gesualdo – Morte per cinque voci, girato in Italia, sull’omonimo “demoniaco” musicista lucano; a Grizzly Man, storia di un animalista che viveva con gli orsi e da uno di essi ucciso; a My Son, My Son, What Have Ye Done sul matricida Mark Yavorsky; al discusso presunto remake del Cattivo tenente di Abel Ferrara  (che si infuriò con Herzog…), a L’alba della libertà, odissea di un soldato perso nella foresta thilandese. Solo per citare alcune delle collaborazioni Zeitlinger-Herzog. Dal 2012, insegna cinematografia all’Università di Monaco di Baviera.

Lei, Zeitlinger, ha girato con Herzog  film estremi e pericolosi. Insieme vi siete recati in terre lontane, in luoghi inospitali e selvaggi, come nella giungla o in Antartide durante le riprese di Encounters at the End of the World. C’è stato un momento in cui si è sentito davvero in pericolo?

Sì, una volta in modo particolare. Con gli orsi, durante le riprese di Grizzly Man quando eravamo in Alaska. Le guide del posto ci hanno spiegato che generalmente gli orsi non sono molto interessati all’uomo, poiché egli non è parte del loro ambiente naturale, non lo immaginano come cibo o come una preda, sono più interessati a mangiare il salmone! Mentre ci hanno spiegato che è molto pericoloso stare tra mamma orso e i suoi cuccioli. In quel caso, infatti, in lei scatta l’istinto materno di protezione della prole. Un giorno, mentre stavamo girando, mi accorgo che due cuccioli di orso ci stavano venendo vicino finchè… ci passarono letteralmente in mezzo. In quel momento, realizzo che ci troviamo tra mamma orso e i suoi piccoli. Ricordo di aver pensato: ok, questo è davvero pericoloso! Così abbiamo cercato, per quanto possibile, di sembrare indifferenti. Infatti ci era stato consigliato che in questi casi di maggiore pericolo, la cosa migliore da fare era “non muoversi e non guardarli”, ed è quello che abbiamo fatto rimanendo immobili come statue (una scena che ricordava molto la mannequin challenge, le riprese diffuse su internet di persone che stanno completamente immobili), solo nella mia mente fischiettavo per aiutarmi a mantenere i nervi saldi. Fortunatamente dobbiamo essere stati “incredibilmente credibili” perché ci hanno ignorato e se ne sono andati. Ecco, in quel momento, devo ammetterlo, ho avuto paura!

Ci può rivelare un aneddoto, un retroscena inedito che coinvolge lei ed Herzog?

Ricordo che durante le riprese in Antartide di Encounters at the End of the World, per motivi di sicurezza, abbiamo dovuto effettuare dei corsi di sopravvivenza. Tra i vari addestramenti cui ci siamo dovuti sottoporre, uno prevedeva insegnamenti su come guidare mezzi particolari, cui non siamo abituati, come le slitte con la base fatta di sci. Devo premettere però, per spezzare una lancia a favore di Herzog, che era un mezzo estremamente difficile da utilizzare! Se dovessi paragonarla ad un esperienza di guida a noi familiare, direi che è come guidare una barca a vela: bisogna stare attenti ad equilibrare il peso ed essere abili a controllare la velocità per non ribaltarsi. Herzog durante uno dei percorsi andava troppo veloce e… finì per ribaltarsi. Preoccupati, abbiamo subito chiamato l’unità di soccorso, ma la cosa divertente è che tutti devono aver pensato che fosse una “chiamata di simulazione” e non ci sono venuti a soccorrere subito. Abbiamo dovuto aspettare… un po’, diciamo! Per fortuna Herzog è un uomo temerario e abituato alle situazioni difficili, infatti nonostante questa disavventura il giorno dopo era di nuovo in piedi. Come nuovo!

Lei è docente universitario della Facoltà di Cinema di Monaco: cosa consiglierebbe a chi volesse fare il suo stesso mestiere?

Sicuramente il primo consiglio che mi sento di dare è quello di trovare il proprio pensiero, la propria visione del mondo e raccontare qualcosa di personale e unico. Questo è l’unico modo per sopravvivere e distinguersi dalla massa enorme di persone che vogliono fare il tuo stesso lavoro. Tutti i giorni vedo filmmakers che vogliono solo diventare famosi, guadagnare soldi e non fanno altro che copiarsi l’uno con l’altro, risultando banali. Ciò accade perché non sono mossi da una vera passione. Un altro consiglio che mi sento di dare è quello di camminare nel mondo e tra la gente, così da comprendere la realtà che ci circonda nella sua varietà e viverla davvero! Invito i giovani a non stare ore davanti a un computer, a internet e alla televisione, che sono tutte ottime invenzioni, ma rendono le persone incapaci di elaborare pensieri autentici.

A intervista quasi conclusa, mi è venuto spontaneo chiedere a Peter Zeitlinger se avesse una frase identificativa, una sorta di motto di vita… 

Come quando ascolti una canzone non c’è un unico suono che ti colpisce, ma tutta la melodia nel suo insieme, allo stesso modo credo che sia sempre importante essere aperti verso diversi punti di vista, perché ognuno contribuisce a renderci migliori. Tuttavia, se devo sceglierne una, è questa: “Sii sempre te stesso”.