Intervista a Claudio Amendola

Parla il regista di Il permesso - 48 ore fuori
Featured Image

Il Permesso – 48 ore fuori, opera seconda da regista di Claudio Amendola dopo una lunghissima carriera da attore per cinema e tv: che ha spiazzato un po’ tutti perché completamente differente dal film di esordio, La mossa del pinguino. Che a sua volta aveva spiazzato per la scelta di genere…

Assolutamente sì: ma non è stato voluto, io non volevo spiazzare nessuno! È soltanto che questo genere mi appartiene di più, mi rappresenta meglio perché è il genere di film con i quali sono diventato … (probabilmente Claudio stava per dire “famoso”, ma in un eccesso di modestia che dimostrerà anche dopo cambia aggettivo, nda) con i quali sono cresciuto, sia come spettatore che come attore. Forse è stata appunto La mossa del pinguino che si allontanava di più dal mio genere, anche se io ho fatto anche tantissime commedie. Ho avuto la fortuna e il tempo, anche, di fare un po’ tutto.

Dalle Vacanze di Natale, sottovalutato e importante capostipite, a Mery per sempre fino ai Cesaroni: una carriera difficilmente incasellabile in un unico genere quella di Claudio Amendola…

Mah, sì, una carriera come tutti gli attori, che grazie a Dio hanno la possibilità di fare le cose più diverse. Mi spiego: secondo me la carriera di un attore deve essere a tutto tondo, deve abbracciare più possibilità.

Con Il Permesso oltretutto hai messo in gioco Luca Argentero come forse lui non ha mai fatto prima, ritagliandogli addosso un personaggio diverso dai suoi clichè, più duro e spigoloso.

Con Luca negli ultimi anni abbiamo lavorato molto insieme: quindi conoscevo perfettamente le sue qualità sia umane che come attore, anche perché avevamo lavorato insieme in Cha Cha Cha di Marco Risi, e già lì avevo intravisto in lui la possibilità di un’interpretazione più oscura. Certo, prima non è mai stato così violento, ma ho capito che avrebbe dato la giusta credibilità, e conoscevo bene il suo rigore professionale, la sua abnegazione. E io avevo proprio bisogno di quel fisico: il suo personaggio è molto taciturno, parla pochissimo, e avevo bisogno che il suo fisico, il suo corpo parlassero per lui, avevo bisogno che raccontassero qualcosa su un passato di dolore e di difficoltà, di un uomo incattivito. E sapevo che Luca avrebbe ottenuto quel risultato.

Tu hai parlato del corpo, hai detto che avevi bisogno che “il corpo parlasse per lui”: da critico, non posso non vederci un significato perché a partire dalla tua opera prima il tuo cinema è molto corporeo, materico. In La mossa del pinguino si parlava di curling, che di per sé è uno sport particolarmente fisico e faticoso: e anche come attore, hai sempre dato una tua impronta ai personaggi dandogli uno spessore, una fisicità appunto, propriamente tua. Si può parlare di uno “stile” da autore?

Ah, ah, ah, ma no… non mi sento sinceramente un autore, anche perché io sono un bravo “correttore di bozze”; ma davanti a un foglio bianco non ho dimestichezza. Preferisco, mi piace lavorare su storie di altri che ovviamente mi devono interessare e affascinare, e parlare di cose che mi devono piacere, ovviamente non farei film su tutto quello che mi viene proposto. In questo senso, non mi sento un autore: ma è chiaro che le storie che ho raccontato – anche se sono solo due – hanno soprattutto empatia, sappiano creare empatia coi personaggi. Ai quattro poveracci di La mossa del pinguino ci si affezionava subito, e spero anche ai quattro di Il Permesso… vedi, quattro e quattro, vedi come ritorna? (ride) Quattro è il numero perfetto per le storie del cinema. Forse ai personaggi del Permesso è più difficile affezionarsi, ma per forza di cose gli devi voler bene.

Anche se non ti senti un autore, di sicuro, riesci a caratterizzare ogni ruolo, ogni film in cui lavori: hai una tua cifra stilistica, un personaggio che declini in vari modi. Nella tua carriera hai quindi toccato tantissimi ruoli, anche come conduttore televisivo se vogliamo! C’è ora, a questo punto della tua carriera, qualcosa che ti invoglia particolarmente, che ti stuzzica? Qualcosa di nuovo, una suggestione, uno spunto inedito…

Guarda, di inedito a me manca solo il teatro, perché non l’ho mai fatto, ho sempre trovato il modo per evitare di fare questo debutto. Ora invece comincia a interessarmi, a incuriosirmi, per aprirmi una nuova possibilità di carriera per età più adulta. C’è un progetto molto interessante al quale non ho detto di no, e questa è già una porta aperta. Il lavoro di regista però mi appaga molto, e credo sia quello a cui punterò di più nei prossimi anni.

Parlando di cinema italiano: se un film va bene al botteghino, il cinema italiano è (ri)nato, se va male dicono sia morto. Eppure il nostro cinema ha tantissimi professionisti fra attori, registi, scenografi: perché allora ha tante difficoltà a imporsi, a crearsi una propria industria, oggi?

Mah, ci sono tante concause, penso… una è proprio quella di non creare gruppi di lavoro, se non a parole. Non si crea l’industria perché non facciamo che si crei: un po’ tutti, a partire dalle produzioni che comunque contano su pacchetti troppo precostituiti, che non riescono a capire il momento giusto. Si arriva sempre con un anno di ritardo o si smette sempre con un anno di ritardo a fare le commedie. C’è allora una sovrapposizione di film troppo simili, troppo uguali, che alla fine vanno ad annullarsi l’una con l’altra; e poi c’è la solita importantissima questione della difesa del proprio cinema, ci dovrebbero essere delle leggi con magari un po’ di dazi verso il cinema americano, ad esempio, c’è il problema delle sale, i film costano sempre troppo rispetto a quello che incassano… e poi chi produce i film che fanno cifre astronomiche (e non solo Zalone, ma anche altri) dovrebbero essere più generosi, con quei soldi, per far uscire piccoli film, per far esordire giovani autori. Io sono un caso di questi, ma gli autori delle opere prime non dovrebbero superare i 35 anni sennò non dovrebbero avere i finanziamenti, secondo me… tra l’altro io ne ho avuto uno ma piccolissimo, per La mossa del pinguino. Si dovrebbero fare delle politiche diverse, bisognerebbe capire bene i tempi che cambiano e i modi di comunicare. L’unica cosa certa e sicura per tutti è che dovremmo avere l’obbligo di fare film belli, di fare film che funzionino e non solo per il gusto di farlo, di far meno numeri due e meno remake e più cose originali.