In ricordo di Ugo Tognazzi

Venticinque anni dopo
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Ricorre oggi il venticinquesimo della scomparsa di Ugo Tognazzi. Mi viene da farne una breve e forse un po’ difforme commemorazione, che fa idealmente da corona all’omaggio che gli abbiamo reso nel dossier di questo mese centrato su Cibo e godimento. Mi sono sempre stupito di come Tognazzi si avvitasse caparbiamente, per coraggio, per destino, intorno al tema della Morte: il coraggio proprio dei pavidi e il loro destino, che vanno incontro a ciò che temono, anche e soprattutto quando cercano di sfuggirlo. L’intera sua carriera sembra una lunga, continua, inesausta disfida alla Bella signora senza pietà. Due dei cinque film che ha diretto, i migliori, Il fischio al naso e I viaggiatori della sera, sono trattati sulla Morte, per nulla metafisici o astratti come si scrive: è macroscopico. Ma ci si può spingere fino a sostenere che su ogni grande interpretazione di Tognazzi si allunghi quest’ombra. È un vago presentimento, a volte; a volte un refolo gelido più sensibile; a volte assume i contorni di un aperto presagio. Come in quel punto della Stanza del vescovo, quando l’Orimbelli, fattosi improvvisamente cupo e meditativo, ascende al santuario ed è orripilato dalla visione delle reliquie del santo («No, perdio, non fatemi vedere i morti!»). E che dire della morte che – provenzalmente – venta da dietro ogni angolo di Amici miei, dove il riso storta le labbra in giù, e dove lo scherzo, la celia, si armano della ferocia di chi è consapevole di sfidare, in realtà, la Grande Falce. E la Morte, sfidata, ha sempre risposto a Tognazzi, film per film. Indossava spesso l’abito della gozzoviglia, del piacere, vestendo carni molli e tiepide. Da Marina Vlady a Ornella Muti a Andrea Ferreol di La grande abbuffata, passando per le tre parche sorelle di Venga a prendere il caffè da noi, come non vedere la predestinazione, l’inesorabilità del karma nel fatto che Tognazzi, lui, sempre lui e lui solo, più di qualsiasi altro, finisse sempre preso e ingoiato nel gorgo femminile senza fondo, il triangolo nero che diventa il nero quadrilatero di tomba? Se c’è uno cui si adatta alla perfezione il detto di Quintiliano, emit morte immortalitatem “acquistò, a prezzo della morte, l’immortalità” questo, nel cinema, è soltanto Ugo Tognazzi.