Il thriller di Umberto Lenzi dopo Argento

Uno degli inventori del sexy thriller degli anni Sessanta
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Un regista che ha sempre dichiarato di ispirarsi alla cronaca per i suoi film gialli (e non) è Umberto Lenzi. Rispetto ai cineasti finora considerati, Lenzi rappresenta un caso a parte. Tra gli inventori del sexy thriller degli anni Sessanta, Lenzi si accosta al giallo anni Settanta con qualche perplessità, soprattutto a causa delle storie che gli vengono affidate. Prendiamo ad esempio Spasmo (1974), scritto da Pino Boller, Massimo Franciosa e Luisa Montagnana: la storia, come riconosce lo stesso regista, fa acqua da tutte le parti. «In Spasmo c’era un elemento che a me disturbava: la pretenziosità dei dialoghi fatti da sceneggiatori un po’ alle prime armi. Tutta la prima parte è infarcita di dialoghi che avrebbero dovuto spaventare gli spettatori e metterli su delle false tracce e che invece non funzionano: sono troppo teatrali. Un altro cosa che all’epoca non mi convinceva molto era che lo trovavo un po’ troppo macchinoso nel plot. Cioè, l’organizzazione fatta dal fratello per farlo impazzire era un po’ esagerata ». Pur basandosi sulla follia (anzi su una doppia follia), Spasmo non ha nulla di argentiano (anche se eredita Suzy Kendall, nel ruolo della protagonista); ma è, anzi, una storia classica di segreti di famiglia e interessi economici miliardari, in cui il giallo si contamina con il poliziesco (il killer assunto per uccidere Robert Hoffman) e gli avvenimenti si intrecciano in una trama inutilmente complessa, che finisce per soffocare il film. Quello che salva Spasmo dal fallimento completo è invece la solida regia di Lenzi, la sua tecnica incisiva e pulita. Perché poi Lenzi abbia accettato di dirigere una storia così poco intrigante lo spiega lo stesso regista: «L’autore (della sceneggiatura, ndr) era un amico del produttore che non sapeva proprio scrivere. Quando mi diedero il copione in mano dovetti riscrivere quasi tutto. (…) Mi sono dovuto inventare delle cose in sede di realizzazione che potevano per lo meno incuriosire il pubblico, come ad esempio le bambole, che non erano previste in sceneggiatura. Pensi che prima di me c’aveva lavorato anche Fulci, perché il film doveva dirigerlo lui».

Prima di Spasmo, Lenzi si era già avvicinato al genere nell’era post-Argento, nel 1972, con Il coltello di ghiaccio, film emblematico in cui il regista, pur ritornando alle atmosfere tipiche dei suoi lavori precedenti (la presenza di Carrol Baker è significativa), introduce il nuovo fondamentale elemento del “trauma” legato (questa volta) alla morte dei genitori in seguito a un incidente ferroviario, che prima porta via la voce all’assassina e poi le istiga la follia omicida. Il coltello di ghiaccio, scritto dallo stesso regista con Antonio Troisio (Quando Marta urlò dalla tomba), è un film, come si diceva, “spartiacque”, che da una parte guarda ancora al passato, con gli omicidi non estremizzati e l’atmosfera classica dei primi gialli e dall’altro cerca di adeguarsi alle nuove tematiche; un film che giustamente si colloca a metà strada tra Spasmo e gli altri due gialli diretti da Lenzi negli anni Settanta: Sette orchidee macchiate di rosso (1972), di cui ci occuperemo successivamente e Gatti rossi in un labirinto di vetro (1974), il più “argentiano” dei thriller del regista. A questo punto bisogna però dire che, in generale, il cinema di Umberto Lenzi, anche quando costretto da pressioni produttive, non ha mai guardato a Argento come a un referente. I film che hanno influenzato Il coltello di ghiaccio, Spasmo e Sette orchidee macchiate di rosso sono, in realtà, classici come La scala a chiocciola di Robert Siodmak, Psycho di Alfred Hitchcock e La sposa in nero di Francois Truffaut. Invece Gatti rossi in un labirinto di vetro, che originariamente doveva intitolarsi L’occhio sbarrato nel buio, scritto insieme a Felix Tusell e girato da Lenzi con mano salda (anche se con qualche sbavatura, come la foto rivelatrice dell’assassina), può essere ricondotto al cinema di Dario Argento; sia per quello che riguarda la follia omicida che spinge l’assassina a colpire (ancora un trauma infantile), sia per i delitti consumati con estrema crudezza di dettagli (notevole l’asportazione del bulbo oculare), sia per la rappresentazione del maniaco con i guanti di pelle nera. Lenzi, venendo da un’impostazione più narrativa che visionaria, non è riuscito a firmare nei ‘70 un altro film come Orgasmo.