Il ritorno di Nell

A due anni da L’ultimo esorcismo torna Nell, la ragazza posseduta da Abalam. Ma questa volta il demone si è preso una cotta per lei
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Voltandosi a guardare dietro le spalle, viene da considerare che L’ultimo esorcismo di Daniel Stamm è stato nel passato prossimo il miglior film fatto sul Diavolo e probabilmente uno dei migliori POV di argomento orrorifico. Sì, è così. Anche se ci si ferma a pensarci un po’, la conclusione resta questa. Daniel Stamm e il suo producer Eli Roth avevano compiuto una serie di mosse giuste, operando scelte azzeccate ed efficienti. Tra le quali non minore quella dei protagonisti. E poi i luoghi, le ambientazioni che erano quelle della Bible Belt: zone acquitrinose, comunità isolate chiuse con armature di aculei, cieli viola che minacciano tempesta… Cioè, il pacchetto atmosferico della storia funzionava al meglio, e alla causa non mancava di portare il proprio contributo lo sguardo impuro del POV.

The Last Exorcism finiva male, chiudendo su una metafisica vampata di calore demoniaco che investiva i protagonisti e se li portava via all’inferno. Ricordava – e lo abbiamo scritto a suo tempo e luogo – la fine di In corsa con il Diavolo di Jack Starret, che chiudeva anche lì su un colossale falò satanico. Lasciandoci atterriti, angosciati, sia Starret sia Stamm. Il sequel che, dato il buon riscontro del primo, Roth si è fatto venire golosità di produrre, inizia anch’esso in un modo che emotivamente ha il suo peso. Nell Sweetzer è catapultata dall’altare sacrificale sul quale le stavano facendo subire cose orribili nell’epilogo di The Last Exorcism, dentro la casa di una coppia che nel cuore della notte si ritrova la sconosciuta nel letto. Chi ben comincia… E Ed Gas Donnelly, il nuovo regista  che prende il posto di Stamm, nonché sceneggiatore di questo seguito insieme al soggettista Damien Chazelle, pone un efficace primo mattone, con questa apparizione notturna, bizzarra e spaventosa – nel muro satanico che va elevando. Il nuovo proscenio è New Orleans ed è commendevole che non si capisca come ha fatto Nell a finire lì, in città, dalle campagne regno delle poiane, degli alligatori e dei bifolchi che adorano il diavolo.

Che l’abbia condotta in volo sulle proprie ali Abalam, il demone che nella corte infernale, stando ai grimori, presiede ai rituali e all’offertorio del suo signore Poimin? Abalam nell’altro film faceva venire voglia di sapere di più su di lui, sulle sue specificità malefiche, ma era stato saggio da parte degli autori mantenere il silenzio. La reticenza paga. Paga sempre. E l’horror ha smesso di fare paura nel momento in cui ha scelto di essere chiaro, di farsi capire sempre e comunque da tutti, soprattutto dagli idioti. Maneggiando Abalam, invece, gli artefici di The Last Exorcism 2 si sono messi nella condizione di non dover far tornare tutti i conti, lasciando spazio a cose che non vanno giudicate col criterio banale e vile dell’utilità e della logica. C’è un nuovo tema di fondo nel film: l’abbarbicamento del demonio all’involucro di Nell ha a che vedere non solo con il compito diabolico per eccellenza che è quello di pervertire e vessare la vittima, ma anche con quello che senza troppi giri di parole va definito innamoramento. Possedere nel senso più pieno e sfaccettato del termine. In alcune delle scene feticcio, la ragazza che sta dormendo nel suo letto al riparo (apparente) di una casa famiglia che la ospita, viene carezzata sul viso dalla propria mano che non è più però la mano di Nell ma opera come la mano di Abalam. Non sono solo trovatine così, ma hanno uno svolgimento che diventa pregnante e indice che non siamo più di fronte a un banale film sul diavolo di quelli che vendono oggi nei supermarket a cinque euro la dozzina.

Anche perché guardiamo la situazione e ci viene in mente che la brava Ashley Bell – faccia giusta, fisico giusto, risorsa fondamentale di questo numero due come lo era stata nel prototipo – arcuata tra le lenzuola e poi al di sopra del giaciglio, potrebbe essere un sedimento mnemonico di Carla Gravina che orgasmava in un sogno satanico memorabile di L’anticristo. Cosa che ha certamente a che vedere con l’ossessione italianista di chi scrive, senza dubbio, ma fino a un certo punto. Eli Roth è uno al quale, se parli di Olocausto 2 – i ricordi i deliri la vendetta, sa benissimo di cosa gli parli. Quindi, andiamoci cauti a ritenere che rimandi di un certo genere possano essere solo nelle sinapsi ossessionate da demoni diversi rispetto a Abalam, di chi guarda. Ci sono altre spie. La trama vuole che Nell apparentemente guarita venga alloggiata in un convitto con altre coetanee e che le trovino un lavoro come donna delle pulizie in un hotel. Tutto bene, e riesce quasi, persino, a fidanzarsi. Lamentare che per quasi cinquanta minuti non succeda niente, implica non avere capito che invece succede moltissimo anche se non succede nei termini banali di chi si aspetta il banale. A un certo punto, nel nuovo alloggio lo psicologo convittore chiede alle ragazze e ai ragazzi di scrivere una lettera a qualcuno che hanno di caro.

“Caro papà, cara mamma…”. Nell si ritrova a intestare la lettera “caro Abalam…”. Il diavolo, lo sappiamo, è sempre lì, a farle la ronda e la corte ma non si mostra, non si disvela, se non con segni ambigui, segnali criptici e inquietanti. La sequenza più bella si ambienta nelle strade della città, mentre Nell e alcune amiche (tra esse una bionda riccia, Julia Garner, che come la si vede si capisce che è sinistra, anche se non fino a che punto possa esserlo) passeggiano durante il carnevale di New Orleans. Nell si accorge che alcune presenza mascherate la stanno osservando, immobili. Poi vede persino suo padre, come presenza fantasmatica che appare e sparisce dietro ai tram che passano, spalancando immediatamente la saracinesca delle memorie sul personaggio di Richard Johnson in Chi sei? (si parva licet). Non importa – per dirla chiaramente – che ci sia della premeditazione, che è assai probabile non ci sia. Ma importa che ripescata dal magazzino akasico una situazione del genere – inseguita da ombre in una città diurna, affollata – faccia vibrare corde giuste. E The Last Exorcism 2 le fa vibrare.

Delle cose che cominciano ad accadere nel momento in cui il demonio dongiovanni esce allo scoperto (e la regola aurea è che non si presenti mai con la sua vera faccia, anche perché una vera faccia, lui, non ce l’ha) è bene non spingersi a rivelare niente. Se non che la ragazza dovrebbe venire salvata dalle fauci di Abalam grazie a un gruppo esoterico che professa la via della mano destra e che tenta di operare su di lei una specie di variante laica dell’esorcismo (dal film è stato salutarmente bandito qualsiasi riferimento religioso: niente preti, tonache, chiese e il crocefisso è giusto quello che Nell porta al collo). Summa in extremis: non è un POV ma riesce ad essere inquietante con strumenti classici, si insinua anche con i dettagli, ha squarci esterni notevoli, una brava protagonista, buoni comprimari, regia sensibile. Se non vi piace, autorizzo a prendermi a calci.