Il rapporto – Un invisibile ritrovato

Il film di Lionello Massobrio dissepolto
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Scritto prodotto e diretto da Lionello Massobrio (montatore per Ferreri e Taviani, nonché apprezzato regista pubblicitario) attraverso la Cooperativa Nuovo Cinema e contando su un credito di cento milioni di lire messo a disposizione dalla Banca Nazionale del Lavoro, Il Rapporto (1970) è una delle tante opere di contestazione del periodo, sebbene la fama di film maudit e l’assoluta irreperibilità su qualsiasi supporto, abbiano contribuito col tempo ad attirare su di esso la curiosità di studiosi e appassionati. Il film inizia dalla fine: Giorgio (Giulio Brogi), di professione regista cinematografico, fugge di casa abbandonando la propria compagna Diana, di professione attrice teatrale (Isabel Ruth, scelta da Massobrio dopo averla vista recitare in Edipo Re, di Pasolini). Con un balzo temporale all’indietro, vengono quindi ripercorse le vicende che hanno causato  questo evento.nGiorgio e Diana si conoscono a una manifestazione, dove lui viene ferito alla testa da un poliziotto in tenuta antisommossa. Tra i due nasce una simpatia e dopo una breve frequentazione decidono di intraprendere una convivenza. La donna, fin qui emancipata e indipendente, muta il suo carattere quando scopre di essere rimasta incinta e si trasforma, né più né meno, nel personaggio che mette in scena quotidianamente sul palco del teatro: un donna d’altri tempi, votata alla famiglia e dipendente dal maschio, il cui solo scopo nella vita è quello di mettere al mondo figli. Giorgio dal canto suo, dopo aver cercato inutilmente di convincere la compagna ad abortire, si rassegna all’idea del nascituro, ma il suo carattere si fa violento. Una sera, al termine di una lite, colpisce Diana, causandole un parto prematuro che porterà alla morte del bambino. Il rapporto tra i due non regge il colpo: la donna entra in depressione, l’uomo si rifugia nel bere e nella politica. Al termine dell’ennesimo scontro e dopo che anche il loro cane muore per un incidente, Giorgio prende la porta e scappa di casa, lasciando la compagna al proprio destino.

L’estrema semplicità del soggetto consente a Massobrio di sperimentare con la forma: la narrazione è frammentata da continui flashback e flashforward, che presentano gli eventi come tessere di un mosaico da comporre. Lo stile visivo abbraccia un’ampia varietà di linguaggi: riprese “documentaristiche”, realizzate macchina a mano –  dove, con immagini traballanti, si mostrano scene di contestazione reali mescolate ad altre ricostruite –  si alternano a blocchi narrativi di chiaro impianto teatrale, dove gli attori recitano guardando lo schermo. A fare da collante tra una sequenza e l’altra, compaiono poi a tutto campo le elucubrazione mentali dei due protagonisti, presentate sotto forma di pagine di diario dattiloscritte (“Siamo uniti/intellettuali e operai/uniti nella società del capitale/intellettuali operai e padroni/ siamo uniti”). Il rapporto del titolo non si riferisce solo ai due protagonisti, ma più in generale al rapporto tra l’uomo e la società, coi retaggi del passato, la politica e le ideologie correnti. Opera fin troppo cerebrale e di non facile fruizione per il grande pubblico, vanta più di una freccia al proprio arco e qualche sequenza in anticipo sui tempi: il piacere femminile è descritto senza reticenze, in barba ai tabù, e c’è anche un fugace nudo frontale maschile. Tutto mostrato non a scopo erotizzante, ma con la più semplice naturalezza. Anche se la censura, all’epoca, non gradì: la pellicola venne bocciata due volte, in prima stanza (06.07.1970) e in appello (27.11.1970), a seguito del rifiuto del regista di apportare i tagli che gli erano stati richiesti; invero del tutto ininfluenti per l’economia del racconto: l’immagine di due cani che si accoppiano, un veloce nudo di Isabel Ruth davanti allo specchio e poi la masturbazione di lei a letto, dove l’atto è lasciato intendere dal solo movimento delle lenzuola. Viene il sospetto che l’interdizione censoria fosse stata dettata più da ragioni politiche che dal grado di erotismo.

Lionello Massobrio, d’altronde, era  un personaggio apertamente schierato: nel 1968 aveva organizzato la protesta alla Mostra del Cinema di Venezia, e nel corso della vita ha alternato cinema e militanza, divenendo socio della Tipografia 15 giugno ed editore di Lotta Continua.  Dopo la débâcle del Rapporto, che resterà del tutto inedito se si eccettua un passaggio lampo al Festival del Cinema di Pesaro, il regista si dedicherà alla realizzazione di spot pubblicitari e alla produzione di documentari a lungo e medio metraggio, dai forti contenuti di denuncia sociale: da La vittoria è certa, girato in Angola nel 1971, a Beba del 1993, fino al più recente Kurdistan – Partorire la morte del 2001; tutti riproposti dalla Cineteca Nazionale nel corso di una recente rassegna intitolata  Lionello Massobrio: i film della mia vita. Messa da parte la macchina da presa, all’inizio del nuovo millennio, il regista si dedicherà alla scrittura dando alle stampe i romanzi Dimenticati (Sellerio, 2002) e Solo nella mente (La Gaggie, 2005). Di Il Rapporto pare esistere solo la copia custodita dalla Cineteca di Bologna, in precario stato di conservazione e priva del rullo finale contenente i titoli di coda. La durata registrata in proiezione è di  83’ 28’’.