HARVEY A PEZZI – Prima parte

Anatomia del caso Weinstein
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ORIGINI E DEBUTTO NEL CINEMA DI GENERE

Harvey Weinstein: sorridente e ammiccante, sempre in giacca e cravatta, oppure fotografato con aria austera e contraddetta con il suo occhio destro sempre un po’ più chiuso del sinistro. Harvey a cerimonie, manifestazioni, cene, insieme ad attori e registi, insieme ad attrici che lo abbracciano con tanto di sorriso a mezza luna impostato. Ce lo hanno proposto in tutti i modi nelle scorse settimane, abbinandogli ogni sorta di aggettivo o appellativo più o meno accattivante, anche se quello del cattivo favolistico per antonomasia è andato per la maggiore. Ma come è arrivato questo omone ebreo a rivestire i panni del produttore cinematografico più importante del mondo?

PRIMA DELL’IMPERO

A dispetto del dorato futuro che gli si prospetterà, Harvey Weinstein nasce nel 1952 in una piccola casa popolare di Fushing, un quartiere della lower-middle-class newyorkese, condividendo la stanza con il Fratello Bob, due anni più giovane. Sarà poco il tempo passato nella cameretta perché, sin da bambini, i fratelli Weinstein amano trascorrere ore e ore al cinema, sognando quel mondo che un giorno avrebbero conquistato. Miriam e Max Weinstein sono i loro genitori, due nomi importanti a cui verrà dedicato il primo passo verso l’impero della produzione. Il padre ha servito nella seconda guerra mondiale dopodiché si è reintegrato nella working class degli anni ’50 diventando un tagliatore di diamanti. Che Harvey avesse la stoffa del business man lo si capisce già in tenera età, quando a soli 13 anni vende un anello per 1200 dollari mentre il padre è via dal negozio per sbrigare qualche impegno.

Harvey a pezzi

Harvey e Bob da piccoli

È proprio Max a infondere nei figli l’amore per la settimana arte, ogni sabato infatti, mentre Miriam passa il pomeriggio dalla parrucchiera, li porta a vedere pellicole western, commedie, film romantici. Ma ad attirare l’attenzione di Harvey sono soprattutto i film stranieri, pellicole sottotitolate che pochi giovani di allora hanno la pazienza di guardare. Film complicati o controversi per l’epoca come lo scandaloso I am Curious- Yellow, pellicola svedese che da teenager lo colpisce non poco, probabilmente anche perché si tratta di uno dei primi film proiettati in sala contenenti scene di nudo integrale. A 14 anni Harvey porta il fratello in una sala d’essei per vedere I 400 colpi, convinto che si tratti di una pellicola pornografica, avvenimento importante perché, anche se non coincide con le aspettative, accende una curiosità per l’allora distante e misteriosa cinematografia europea. Al contempo insegna come trailer e montaggio possano ingannare e direzionare gli spettatori, tattica che nel futuro gli affibbierà il soprannome “mani di forbice”. Crescendo si laurea a Buffalo, ma più che i libri a suscitare il suo interesse è il fervente panorama musicale newyorkese dei primi anni ’70: tripudio di nuove sonorità sperimentali ma anche bacino di artisti desiderosi di emergere dai quali ricavare una fonte di reddito. Nasce così la Harvey & Corky Productions, con l’intento di creare un business legato alla promozione musicale, prima società  fondata assieme all’amico il cui nome potrebbe essere sul menù di un fast food: Corky Burger. Traguardo raggiunto con successo, sfruttando un locale di Buffalo rilevato dai Weinstein che arriverà a ospitare 2000 concerti all’anno, passeranno di lì Frank Sinatra, Bette Midler e addirittura i Grateful Dead. Quando la sala non è scossa dal progressive rock, funge da cinema in cui Harvey si diverte a proiettare film, organizzando anche dei festival: questa è la sua strada dei sogni, il cinema. Deciso a percorrerla, nel 1979 vende le azioni della Harvey & Corky e si trasferisce con Bob a New York. Lo stesso anno i due fondano la Miramax (chiamata così per omaggiare i genitori), una piccola società di distribuzione dedicata ai film indipendenti, le stesse pellicole a budget medio considerate dal mercato americano film “artistici” adatti al pubblico europeo.

Harvey e Corky Burger

Harvey e Corky Burger

IN PRINCIPIO FU LO SLASHER

Gli sfavillanti anni ’80 non sono ancora iniziati, la Miramax è appena nata e Harvey Weinstein vuole assolutamente sfondare nel mondo del cinema. In questo periodo diverse pellicole horror a basso budget hanno riscosso parecchio successo, basti pensare a Halloween – La notte delle streghe o Non aprite quella porta, prime scintille della squisita mania slasher che di lì a poco dilagherà in centinaia di titoli e migliaia di accoltellate; osservazioni che lo indirizzano a puntare sulle storie dell’orrore. L’ispirazione arriva da un ricordo adolescenziale: quando trascorreva l’estate in campeggio, la sera attorno al falò, circolava la terrificante leggenda metropolitana di Cropsey, un uomo armato di accetta, o lunghe forbici a seconda della versione, solito vagare nei boschi o nei campeggi massacrando chiunque incontrasse. Dopo aver proposto l’idea al socio di produzione Michael Cohl, Harvey si mise al lavoro scrivendo un soggetto di 5 pagine intitolato The Cropsy Maniac, registrandolo nell’aprile del 1980, esattamente un mese prima che uscisse Venerdì 13 nei cinema; il titolo definitivo sarà The Burning. Il forte progetto dei Weinstein costrinse due film dello stesso anno a cambiare rotta: anche Joseph Ellison stava lavorando ad un horror intitolato The Burning che dovette modificare in Don’t Go in the House; stessa sorte toccò a Joe Giannone che dovette fermare la produzione e riscrivere l’intero script del suo Madman, uno slasher anch’esso ispirato alla leggenda di Cropsey.

Harvey a pezzi 2

Come regista venne scelto Tony Maylam, conosciuto da Harvey per aver girato qualche documentario sul rock, in particolare sugli amatissimi Genesis. La sceneggiatura, invece, fu realizzata in sole sei settimane da Bob Weinstein e Peter Lawrence, unendo humor da teen comedy alle convenzioni del filone slasher allora in voga, incitati da Harvey che avrebbe voluto un omicidio ogni 10 minuti. La trama è molto semplice e ruota attorno alla sanguinosa vendetta del goffo custode del campeggio, Cropsy per l’appunto. Preso di mira dai ragazzini del campo estivo viene abbrustolito e sfigurato dalle fiamme a causa di uno scherzo finito male; 5 anni dopo una lunga degenza torna nello stesso campeggio per compiere un massacro. La fretta era dovuta dalla volontà di girare il film entro la fine dell’estate, sfruttando il clima soleggiato, adatto alle sequenze, esclusivamente in esterni, girate in un vero campeggio nel North Towananda; ma ancor più sfruttando l’ondata della slasher mania che secondo lo sguardo imprenditoriale dei Weinstein non sarebbe durata per sempre. Il casting iniziò nella primavera del  1980, i primi a essere selezionati furono Brian Matthews e Leah Ayres,  molti attori come  Holly Hunter, Jason Alexander e Fisher Stevens, stavano per interpretare il loro primo ruolo cinematografico, altri come Brian Backer, Shelley Bruce, Ned Eisemberg e Bonnie Deroski erano apparsi in alcune commedie o sul piccolo schermo; per la parte di Cropsy venne scelto Lou David, volto decisamente strambo. Tutto era pronto per partire con le prime riprese, il budget si aggirava attorno ai 1,5 milioni di dollari; esordienti erano gli attori come le persone coinvolte nella produzione (tra cui Miriam Weinstein), pare addirittura che i costumi dei protagonisti non esistessero, i giovani erano tenuti a portarseli da casa. Il primo prodotto della Miramax sembra essere una perfetta operazione commerciale senza particolari ambizioni, in realtà il risultato finale è piuttosto sorprendente perché a differenza dei soliti slasher in cui dopo 5 minuti del film abbiamo capito chi è la final girl e chi il prossimo ad essere accoppato, in The Burning gli archetipi vengono utilizzati per depistare le aspettative.

Harvey a pezzi 3

A prevalere è la visione di gruppo, tuttavia i personaggi sono ben sviluppati così come i loro legami e sfumature (il classico nerd questa volta è anche un guardone che per caso vede un omicidio).Tutto ciò rafforza lo shock delle morti improvvise perché non ci sono dei veri e propri protagonisti, o meglio quelli che crediamo tali improvvisamente vengono trucidati. La giovane carne dei campeggiatori, prima di essere affettata dalle forbici di Cropsy, viene generosamente esposta alla macchina da presa: stuzzicanti corpi sotto la doccia come la sequenza con Carrick Glenn, sguazzi notturni al lago che ci regalano un nudo integrale di Carolyn Houlihan; un passaggio obbligatorio quello dell’iniziazione sessuale, inevitabile quanto la morte stessa. La sequenza più brutale che rimarrà scritta nella storia è certamente quella girata sul fiume: a bordo di una zattera, tra scherzi e risate, il gruppo di amici ritrova una canoa e nell’arco di pochi secondi avviene una carneficina totalmente inaspettata. Cropsy spunta improvvisamente dall’imbarcazione sventolando le sue lunghe cesoie, facendo volare pezzi di mani, gambe, recidendo gole e ventri tra le urla terrorizzate dei ragazzini. Un bagno di sangue sotto la luce del sole, reso ancora più realistico grazie agli effetti di Tom Savini. A causa dei tempi stretti Savini ebbe a disposizione solo tre giorni per realizzare la maschera di Cropsy, visibile solo alla fine del film, un volto che appare liquefatto più che bruciato; più tardi raccontò di essersi ispirato all’aspetto di un barbone ustionato incontrato casualmente. Al povero Tom toccò anche improvvisarsi stuntman: la gamba infuocata di Croopsy, visibile in una sequenza, è in realtà la sua! A occuparsi del montaggio, invece, fu Jack Sholder che di lì a poco avrebbe diretto Alone in the Dark – Nel buio da soli e Nightmare 2. I Weinstein durante la post produzione del film lo tartassarono non poco, lo stesso Sholder raccontò che impedirono a Maylam l’accesso alla sala montaggio per aver completa decisione sui tagli da effettuare, fatto che scaturì non poca tensione. Per pubblicizzare il film e incuriosire gli spettatori Harvey pensò di far circolare sinistre leggende legate a fantomatiche vicende spettrali accadute durante le riprese, con tanto di false dichiarazioni del cast su quanto fosse terrorizzante recitare nella vera ambientazione della leggenda, attorniati da strani rumori e inquietanti ombre, una trovata niente male. La Filmways Pictures acquistò i diritti di distribuzione dalla Miramax nel febbraio del 1981, cercando invano di cambiare il titolo in Tales Around the Campfire, The Burning venne mantenuto, anche perché almeno due registi si sarebbero infuriati non poco dopo aver cambiato titoli e sceneggiature a causa dei Weinstein.

Harvey a pezzi 4

Il film uscì nel maggio del 1981, non sono chiari gli incassi effettivi che potrebbero aggirarsi attorno ai 2-3 milioni di dollari, purtroppo l’interesse verso l’horror calò nel giro di poche settimane, anche a causa della concorrenza con altri slasher in sala nello stesso periodo, come Happy Birthday to Me e The Fan. Naturalmente si trattava di una versione iper censurata data la corposità della mattanza portata in scena, solamente con l’uscita del dvd, nel 2007, si vedrà per la prima volta la versione uncut. Primo film della Miramax, prima esperienza cinematografica di Harvey Weinstein, ma anche primo passo verso quelle strane circostanze che d’ora in avanti sarebbero divenute una sorta di abituale rito. Tutto questo, naturalmente, viene fuori da recenti dichiarazioni, a distanza di quasi 40 anni. Si da il caso che tra la troupe più  meno improvvisata di The Burning ci fosse una timida 24enne alla sua prima esperienza di tirocinio come assistente alla produzione, Paula Wachowiak. Un bel giorno Harvey si accorse che i conti non tornavano e chiese a Paula di portagli in camera la cartella con i conti, assegni e scartoffie della Miramax. Quando la stagista aprì la porta della stanza rimase immobile davanti al ragazzone coperto soltanto da un asciugamano, che poco ci mise a cadere a terra, mentre lui, completamente a suo agio, comodo sul letto con la cartella sull’inguine, sproloquiava di conti incassi e quant’altro. Ad un certo punto Harvey si accorse di avere un male insopportabile alla spalla e chiese alla ragazza di fargli un massaggio, per tutta risposta Paula scappò in lacrime, lasciando l’uomo nudo, solo con la sua cartella. Solo più tardi, sul set, lui sorridendole le chiese “Non è stata l’esperienza migliore dello stage vedermi nudo?”.