HARVEY A PEZZI – Terza parte

Anatomia del caso Weinstein
Featured Image

OLTRE LE DONNE ANCHE GLI UOMINI

Tante sono le donne che si sono affiancate a Harvey Weinstein nel corso della sua vita, per amore, fama, ricatto o semplicemente per sbaglio. Da chi, come Meryl Streep, lo ha definito “Dio” a chi, come Asia Argento “l’orco di Hollywood”. Ma chi sono gli uomini emersi grazie a Mr. Miramax? Non se ne parla molto. Si tratta, anche in questo caso, di svariate personalità. Storie di amore e odio.

GLI ANNI ’90 E L’ERA MIRAMAX

Con la fine degli anni ’80 ha inizio la vera e propria “Era Miramax”. L’uscita di Sesso, bugie e videotape decreta, per l’azienda, la strada degli indie blockbuster: film low budget in grado di riscuotere lo stesso successo economico di alcune produzioni hollywoodiane. Più il potere si accentrava nelle mani dei fratelli Weinstein, più avere a che fare con loro si rivelava un’impresa, seppur indiscutibilmente fruttuosa, sfiancante in termini psicologici. Anche Soderbergh ci mise poco a capire che le decisioni sulle strategie di marketing sarebbero state gestite unicamente da Harvey, senza prendere in considerazione il suo parere. Lo stesso trailer proposto dal regista fu prontamente scartato in quanto “troppo artistico”, e la campagna pubblicitaria venne interamente costruita attorno al sesso, suggerendo la pruriginosa idea che le videocassette in questione potessero essere porno. Tattica vincente che incuriosì migliaia di spettatori ingannandone le aspettative (perché il sesso nel film di Soderbergh c’è solo nel titolo), superando, nei soli USA, i 24 milioni di dollari con un budget di appena 1. Sempre nel 1989 i fratelli aquistano a Cannes Nuovo Cinema Paradiso, nessun compratore americano sembrava interessato a Tornatore, per Harvey fu un colpo grosso che fruttò un altro Oscar alla Miramax. Oltretutto senza dover sforbiciare più di tanto! Ci aveva già pensato il produttore Franco Cristaldi, che aveva dato nuova vita alla prima disastrosa versione, amputandone l’intera seconda parte. Nel 1990 la Miramax puntò niente meno che su uno shi-fi, distribuendo Hardware – Metallo letale, di Richard Stanley. Anche in quell’occasione i battibecchi non mancarono. Nel film c’era un personaggio chiamato Lincoln Wineberg Jr (William Hootkins), il vicino di casa della protagonista (Stacey Tracey), viscido, ciccione e per di più guardone. Ironia della sorte, Harvey si riconobbe nel signore in questione, arrivando alla conclusione che si trattasse di una caricatura studiata appositamente da Stanley per prendersi gioco di lui. Quest’ultimo negò, dicendo che il personaggio era stato concepito così sin dalle prime stesure, ispirato a un noto pervertito della sua città natale. Ma la cosa più agghiacciante proviene da una dichiarazione fatta da Stanley durante un’intervista rilasciata prima dell’esplosione dello scandalo Weinstein, in cui raccontò di quando ricevette da Cannes una telefonata da Stacey Tracey in lacrime. A quanto pare i motivi del transfert con Lincoln Wineberg Jr avevano un fondamento. L’attrice gli raccontò che Harvey aveva cercato di entrare nella sua stanza d’albergo per abusare di lei e, dopo aver ricevuto un “no” in cambio, iniziò a battere alla sua porta urlando che non avrebbe più lavorato con nessuno. Il regista lo definì “un predatore sessuale”, paragonandolo a Bill Cosby, dicendo che aveva sentito spiacevoli notizie del genere anche da parte di Ashley Judd, e profetizzando che uno scandalo, prima o poi, sarebbe esploso.

Harvey 4

Il laido personaggio di Hardware nel quale Harvey si è riconosciuto

Ma ogni cosa ha il suo tempo e per ora a rischio d’esplosione erano soltanto le tempie pulsanti del boss della Miramax, piegato sulla scrivania dell’ufficio di New York alla ricerca di una soluzione per raggirare i cospicui problemi economici che affliggevano la casa di distribuzione. Nonostante i recenti successi, i prezzi delle acquisizioni erano sempre più alti, anche a causa di un mercato “drogato” dagli stessi Weinstein, gli incassi al box office non bastavano per rientrare nelle spese e, soprattutto, per pagare i creditori. L’inizio degli anni ’90 fu economicamente molto duro, la Miramax non riusciva a stare al passo rispetto agli anni precedenti e per non fallire si ritrovò a tagliare su tutto, compresi il caffè e i fogli per le stampanti. Inizialmente i  fratelli pensarono di vendere l’azienda, poi si ricredettero e nel ’91 fondarono una compagnia sussidiaria, la Dimension Films, intenzionati a puntare su film di genere low budget; in effetti i primi film (Hellraiser 3, Grano rosso sangue – Sacrificio finale) ebbero dei buoni incassi.

GLI UOMINI DI HARVEY

Nel 1992 quando Quentin Tarantino arrivò a Park City per il Sundance Film Festival non era ancora nessuno. Non era mai stato a un festival prima, probabilmente non era nemmeno mai uscito da Los Angeles, nonostante da quasi un anno si vociferasse parecchio sulla sceneggiatura di Le iene: la curiosità dilagava e in effetti si trattò di un’anteprima shoccante in tutti i sensi. C’è da dire che all’epoca, nei film presentati al festival di Robert Redford, se le persone morivano era per malattia o, nel più sovversivo dei casi, di AIDS.

Harvey

Harvey Weinstein e Quentin Tarantino

In Le iene i personaggi non morivano solo lentamente e violentemente ma anche affogando in bagni di sangue. Tra applausi, accuse di plagio e fischi per la violenza gratuita, due rappresentati della Miramax videro il film e corsero subito a sottoporlo a Harvey. In Down and Dirty Pictures, Peter Biskind racconta della perplessità del boss durante la visione. Soprattutto per quanto riguardava la famosa scena dell’orecchio: secondo lui avrebbe impressionato troppo il pubblico femminile, considerazione rafforzata dalla reazione della moglie, la quale fuggì inorridita dalla sala dicendo che si trattava di un film disgustoso. Naturalmente “Harvey Mani di Forbice” telefonò a Quentin dicendo che avrebbe dovuto tagliare la scena in questione, in modo da poter avere un film mainstream, indirizzato al grande pubblico, la risposta che ricevette fu molto chiara: «Scordatelo, non ho fatto questo film per tua moglie, l’ho fatto per me stesso, e non voglio che piaccia a tutti». Il signor Weinstein aveva a che fare con un testardo della sua portata che, per la prima volta, riuscì ad averla vinta: aveva fatto breccia nel suo cuore e insieme avrebbero dato vita a tantissimi film. Non sarebbero mancati i litigi e la minaccia dell’abbandono da parte di entrambi diventò il leit motiv della loro relazione. Le iene non ebbe un gran successo al box office ma, in compenso, ebbe gran risonanza. A dare una svolta agli incassi e all’immagine dell’azienda fu La moglie del soldato. I Weinstein comprarono il film all’American Film Market, incassando 62.5 milioni di dollari e aggiudicandosi un Oscar e 6 nomination. In occasione degli Academy Awards, Harvey sfruttava al massimo la sua faccia tosta e una perseveranza maniacale nel cercare di accaparrarsi quanti più voti possibili. Non si può negare quanto fosse dedito alla causa: convinto che ogni singolo voto fosse importante, si assicurava che ogni componente dell’Academy vedesse i suoi film, proiettandoli dove alloggiavano i membri, scoprendo dove andavano in vacanza nel periodo natalizio organizzando proiezioni in quel posto, o chiamandoli a casa incessantemente. Fu proprio il successo di La moglie del soldato a far drizzare le orecchie della Disney: l’allora presidente Jeffrey Katzenberg telefonò a Harvey per parlare di una possibile acquisizione e quest’ultimo gli chiese 90 milioni di dollari. Era fatta. La Disney si sarebbe accollata tutti i debiti accumulati e avrebbe coperto le spalle dei Weinstein permettendogli comunque di mantenere una completa autonomia: i fratelli aggiunsero una clausola al contratto, sottolineando che nessuno poteva digli cosa distribuire o produrre. A confermare che la Miramax non avrebbe seguito i gusti Disney fu l’acquisizione di un film ultra indie, girato in b/n, con un cast sconosciuto composto da teenager nerd e sboccati, girato con soli 27000 dollari di notte, nello stesso drugstore in cui l’aspirante regista lavorava. Si trattava di Clerks – Commessi, esordio alla regia di Kevin Smith. Un commesso di tutt’altro carattere rispetto al  testardo collega della videoteca di Los Angeles, Smith, il quale non si sarebbe mai aspettato un riscontro di pubblico così caldo all’anteprima del 1993, in occasione del Sundance Film Festival. Quando conobbe Harvey Weinstein, che si complimentò  per il suo film, Smith, incredulo, gli disse che era un onore avere a che fare con lui, e che, dopo varie visioni, si era già appuntato i dieci minuti di pellicola che avrebbe volentieri tagliato. Fu amore a prima vista, un altro sodalizio destinato a durare per anni. Smith rifiutò un’offerta della Universal (che avrebbe fatto del film un remake) e girò su e giù per gli Stati Uniti, portando Clerks a tutti i festival. Il suo carattere modesto e genuino faceva impazzire il pubblico, che si riconosceva in questo ragazzone amante dei fumetti che, tuttavia, continuava ancora a lavorare nel suo market: aspetto che Harvey usò per pubblicizzare ancor più la sua figura-simbolo di regista indipendente. La tattica della Miramax consisteva nel trasformare i registi in rockstar, facendo colpo sul pubblico e meno fatica per negoziare con attori e pubblicitari.

Harvey 1

Harvey Weinstein con Kevin Smith e Jason Mewes

La coraggiosa determinazione dei Weinstein si palesò quando i due riuscirono a convincere la Disney a distribuire e co-produrre  il controverso Kids, assaggio del primo disagio esternato da Harmony Korine, abbinato al drogato sesso adolescenziale in puro stile Larry Clark. Com’era prevedibile Kids venne definito dalla stampa “al limite della pornografia”, guadagnandosi un NC-17 raiting, creando polemiche con l’azienda di Katzenberg che non poteva avere film così classificati. Problema che i Weinstein risolsero velocemente creando la Shining Excalibur Pictures, un’improvvisata società di distribuzione indipendente nata unicamente per distribuire il film. Con Larry Clark i due fratelli non lavorarono mai più. Una sorte simile ebbe il discusso Dogma di Smith, inizialmente comprato da Miramax e successivamente venduto alla Lionsgate. Distribuzione decisamente più mainstream fu Lezioni di piano, destinato a 3 Oscar e 8 nomination, girato da Jane Chiampion nel 1993. Oltre a Holly Hunter si aggiudicò la statuetta dorata anche Anna Paquin, a soli 11 anni, come miglior attrice non protagonista. A distanza di 20 la star di True Blood posterà sul suo social un “#MeToo”, che non è mai stato approfondito.

Se Tarantino era il talentuoso figlio cocciuto e Smith quello tenero e cicciottone, non si può dire che tra Harvey Weinstein e Bernardo Bertolucci il rapporto fu altrettanto idilliaco. La Miramax comprò Il piccolo Buddha e, naturalmente, cercò di tagliare l’eterna pellicola in tutti i modi, con le buone e con le cattive. Tentavi vani davanti all’irremovibile italiano, che, però, scoprì una versione tagliata del suo film, realizzata senza la sua consulenza. La sfuriata fu di proporzioni stratosferiche e, alla fine, il regista si decise a eliminare 18 minuti del girato; per ripicca Weinstein distribuì il film (quasi un anno dopo, rispetto alle proiezioni europee) in pochissime sale, togliendolo dalla programmazione dopo alcune settimane. I due non si videro mai più, Bertolucci descrive Harvey come «uno snob senza nobiltà a cui non offrirei nemmeno una tazza di caffè». Fu nel 1994, con Pulp Fiction, che si plasmò la figura registica di Tarantino e, al contempo, divenne sottile la linea di demarcazione tra Studios e indie. Quando Harvey ricevette la sceneggiatura da un suo socio, borbottò dicendo che era lunghissima e che non aveva intenzione di leggere “quel cazzo di elenco telefonico”. Alla fine si convinse e qualche ora dopo chiamò entusiasta il collega: «Dobbiamo distribuire questo film, compra la sceneggiatura».  A Cannes si rivelò un successo. Mentre Nanni Moretti vinceva il premio alla regia con Aprile, Pulp Fiction si portava a casa la Palma d’oro, aggiudicandosi in seguito un Oscar per la miglior sceneggiatura originale, che Tarantino dovette dividere a denti stretti con Roger Avary.

Gli anni ’90 si conclusero nello splendore, con Shakespeare in Love la Miramax si confermava una delle più importanti case di produzione, al livello degli stessi Studios da cui voleva differenziarsi. Ben sette statuette d’oro e un successo clamoroso al box office. Per l’occasione salì personalmente Harvey Weinstein a ritirare il premio per il miglio film, fiancheggiato dagli attori, tra i quali c’era Gwyneth Paltrow (miglior attrice protagonista), che, appena tre anni prima, era stata invitata nella suite di Harvey, per parlare di Emma. Le parole furono poche, l’omone passò subito ai fatti, tentando di metterle le mani addosso e proponendole di fare sesso. Brad Pitt, allora fidanzato con l’attrice, seppe del fattaccio e intimò Harvey di starle alla larga. L’episodio fu dimenticato. Gwyneth si era aggiudicata il suo primo Oscar e ringraziava Mr. Weinstein per l’occasione concessale. D’altro canto non era l’unica: Harvey, dopo Spielberg, è l’uomo più ringraziato alla cerimonia degli Oscar. Un posto sopra a Dio.

Harvey 2

Pioggia di Oscar per Shakespeare in Love; al centro Harvey “appoggiato” a Gwyneth Paltrow

I FIGLI RINNEGANO IL PADRE

Leggendo le dichiarazioni su Harvey Weinstein che circolano da mesi, sembra che chi ha avuto a che fare con quest’iracondo uomo di potere (sia maschi che femmine), abbia sviluppato una sorta di Sindrome di Stoccolma nei suoi confronti: il suo comportamento insopportabile era forte tanto quanto la paura di deluderlo, e la necessità di tornare di nuovo sotto la sua ala. Probabilmente fu così anche per Quentin, dopo essere stato messo al corrente dalla fidanzata Mira Sorvino (nel lontano 1995) delle sconvenienti avances da parte dell’amico, giustificò il comportamento pensando a una semplice infatuazione. Così come non diede particolare importanza alla confidenza fatta da Rose Mc Gowan, quando gli raccontò che Harvey aveva cercato di molestarla in un hotel (l’accusa di stupro non era ancora uscita), ai tempi in cui girò Scream, prodotto dalla Dimension. «Sapevo abbastanza per fare qualcosa» dichiara oggi Tarantino, «Avrei voluto prendermi la responsabilità di quanto avevo saputo, ma se lo avessi fatto avrei dovuto smettere di lavorare con lui». Chi non lavorò con lui ed ebbe vita difficile nell’inserirsi anche in altre realtà cinematografiche fu proprio Mira Sorvino: probabilmente presa di mira da Weinstein per il suo rifiuto, divenne vittima diffamatoria di quest’ultimo. A confermarlo è Peter Jackson, raccontando alla stampa come il boss gli impose di scartare lei  e Ashley Judd dal provino per Il signore degli anelli. A dichiararsi sconcertato dalle accuse e profondamente afflitto è Kevin Smith, il quale, dopo lo scoppio dello scandalo, ha subito affermato che i prossimi profitti ottenuti grazie ai film che aveva realizzato collaborando con il produttore verranno donati all’organizzazione Women in Film. A sua detta, nel caso in cui i film Miramax non guadagnino più, donerà comunque all’associazione 2000 dollari al mese per il resto della sua vita. «La mia intera carriera è legata a quell’uomo». Dice Smith, che da poco aveva ricevuto da Harvey la proposta di realizzare Dogma 2. «La mia intera carriera è intrecciata a qualcosa di veramente orribile. So che non è colpa mia ma non aiuta perché mi sono seduto a parlare di questo uomo come se fosse un eroe, come se fosse mio amico, mio padre e idiozie simili… Stavo lodando qualcuno che non conosco».