HARVEY A PEZZI – Quarta parte

Anatomia del caso Weinstein
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SOLO CONTRO TUTTE

Gli anni’90 finiscono nello splendore, con Shakespeare in Love che si aggiudica 7 statuette dorate. Il cinema indi americano ha compiuto una trasformazione irreversibile e tutto procede a gonfie vele per la Miramax, nonostante si vociferi su alcuni atteggiamenti poco professionali di Harvey, dettagli da dimenticare. Anche se il caso Weinstein è esploso ufficialmente nel 2017, molti anni prima c’erano bisbigli di poco conto, come Courtney Love che in un’intervista del 2005 intimava le giovani aspiranti attrici di non andare a un party del produttore. Spulciando qualche archivio si trovano interviste ancora più datate, come quella di Repubblica a Monica Bellucci  del 1999, anno in cui stava lavorando a Malèna, prodotto da Miramax. “Si dice che Harvey Weinstein, il capo della Miramax che con Medusa produce Malèna, abbia un interesse particolare per le attrici che lavorano per lui”, esordiva a un certo punto il cronista, la Bellucci rispondeva che l’aveva sentito dire ma che la sua forza era quella di essere stata scelta dal regista e non da lui. Da tempo a Hollywood circolavano voci sulla sua presunta pratica di “casting couch”; nel 2010 un articolo su Pajiba , intitolato Harvey’s Girls, arrivava addirittura ad individuare un club di personalità femminili entrate improvvisamente nel mondo dello spettacolo grazie ad Harvey che, secondo il giornalista, le selezionava e adottava come un animale domestico.

Harvey

Harvey beato tra le donne

Che i Weinstein riuscissero a manipolare i media a piacimento non è un segreto, in Down and Dirty Pictures Peter Biskind ne parlava ampiamente, intervistando personalità che in passato avevano lavorato per i due fratelli. All’interno della Miramax c’era una schiera di avvocati pronti a far pressione su qualsiasi testata interessata a far circolare qualche notizia scomoda per l’azienda e per evitare queste fastidiose situazioni alcuni collaboratori delle più importanti riviste venivano pagati come “consulenti” della società. Non si può parlar male di chi ti paga. Come se non bastasse Harvey nel 1998 fondò la Talk Media, joint venture di Miramax e Hearst Magazines, creata per pubblicare libri, riviste e produrre programmi televisivi; da questa nacque la rivista Talk.  Durante una serata mondana avvenuta nel 2000 alla quale parteciparono celebrità e giornalisti, Harvey scatenò una vera e propria rissa. A farlo esplodere come un vulcano fu la domanda non gradita di una giornalista (Rebecca Traister) su alcuni ritardi nella produzione di un film, la ragazza ricevette urla e insulti di ogni genere; il suo collega (Andrew Goldman) cercò di difenderla e venne letteralmente catapultato giù dalle scale, trascinato fuori dal locale e immobilizzato con tanto di presa wrestling. Inutile dire che la scena venne immortalata da migliaia di flash, ma a dispetto delle aspettative di Goldman che pensava di ritrovarsi su tutte le prime pagine, il giorno dopo nessun giornale parlava dell’accaduto. C’erano solo un paio di articoletti su due fastidiosi giornalisti che avevano rovinato una bella serata facendo arrabbiare il buon Harvey. Alcuni ex pubblicisti della Miramax raccontano che la tattica dell’intimidazione per trasformare cattive notizie in buone era la più utilizzata dall’azienda.

GLI ANNI 2000: LE LITI, IL DIVORZIO DALLA DISNEY E LA NASCITA DELLA WEINSTEIN COMPANY

Dal punto di vista produttivo gli anni 2000 iniziarono con Gangs of New York, altro colpo grosso, un successo al box office e 10 nomination agli Oscar, ma naturalmente non mancarono discussioni e liti tra Weinstein e Scorsese. Il film, già concluso nel 2001, rimase in stallo un anno a causa dei loro conflitti: Harvey voleva una storia d’amore alla Via col vento con a far da sfondo la guerra tra bande rivali, naturalmente il regista non ne voleva sapere. A causa dei tempi dilatati alcuni attori come Robert De Niro e William Dafoe abbandonarono il progetto e l’innalzamento del costo di produzione fece sì che il successo del film divenisse vitale per la sopravvivenza della Miramax. Lo scontro continuò in fase di montaggio, il film, originariamente oltre le tre ore di durata, venne accorciato a 2 ore e 40. Il caratteraccio di Harvey nei confronti degli stessi registi fiore all’occhiello della sua etichetta non era una novità. Aveva fatto piangere Shyamalan alla proiezione del suo primo film, Ad occhi aperti – Wide Awake. Todd Hynes, invece, riuscì a cavarsela prendendosi della “fottuta prima donna” perché, dopo aver lavorato con con i Weinstein per Velvet Goldmine, decise di far produrre Lontano dal paradiso (2002) da un’altra compagnia. Secondo il regista Harvey minacciò di spendere 10 milioni di dollari per impedire alla protagonista Julian Moore di ottenere una nomination agli Oscar. Anche Julie Taymor ebbe una furiosa lite con Harvey durante una proiezione di Frida (2002), biopic sulla famosa pittrice interpretata da Salma Hayek. Taymor non concordava su alcuni tagli e il produttore le urlò che era la persona più arrogante che avesse mai incontrato (“go market the fucking film yourself!”); poi rivolgendosi al partner presente per l’occasione: “Non mi piace la tua faccia. Perché non difendi tua moglie così posso menarti?”. Non ancora soddisfatto si rivolse ad alcuni manager della Miramax per licenziarli in massa. La stessa Hayek nel dicembre 2017 ha raccontato al New York Times che Weinstein cercò di ostacolare la realizzazione di Frida perché si era rifiutata di concedergli favori sessuali, obbligandola a includere un nudo frontale per dare una connotazione sexy al suo personaggio, più una scena di sesso con un’altra donna. Guarda caso Ashley Judd, una delle prime attrici che ha dichiarato di essere stata molestata.

Harvey

Salma Hayek nuda in Frida

Sempre in questo periodo Michael Moore intentò una causa contro la Miramax per il mancato pagamento di parte dei suoi profitti legati a Fahrenheit 9/11 (2004), i Weinstein e i loro legali risolsero la cosa privatamente e Moore ritirò la sua denuncia. A essere coinvolto in un’infernale esperienza con i fratelli produttori è anche Wes Craven, che lavorò con la Dimension per Cursed-Il maleficio, la cui uscita era pianificata per il 2003. In realtà il film uscì solamente nel 2005, a causa delle continue modifiche pretese dai Weinstein che volevano cambiare la sceneggiatura, rigirare le scene per renderle meno violente e sostituire i lupi mannari creati da Rick Baker con creature generate dalla computer grafica. Nonostante Cursed oggi sia diventato un cult per i fan di Craven, quando uscì nelle sale fu un flop commerciale e il povero Wes ricorda gli anni in cui ha lavorato al film come un’esperienza maledetta. Successivamente anche Bustillo e Maury vennero in contatto con Harvey per realizzare il remake di Hellraiser, progetto che abbandonarono perché impossibilitati di lavorare liberamente, assillati in continuazione dal produttore che voleva cambiare lo script e a detta loro “cercava di mettere tette e culi in ogni scena, noi invece volevamo girare un horror”. Sempre all’interno del panorama horror, tenne duro Rob Zombie, un altro abituato a lottare per la propria creatività che con i Weinstein realizzò i due Halloween con non poche tensioni; esperienza che probabilmente lo portò a considerare il crowdfunding per girare senza dover tener conto di nessuno.

Nonostante i fratelli dichiarassero che la loro società (ormai meno operativa nel campo dei film indipendenti) fosse redditizia, nel giugno 2004 il presidente della Walt Disney Co., Robert Iger, dichiarò che Bob e Harvey non stavano calcolando correttamente tutte le spese della Miramax, impegnandosi in scommesse troppo grandi per la loro portata e investendo troppi soldi. Nel 2003 furono solo 3 i film acquistati, inoltre la relazione tra Harvey e l’amministratore delegato della Disney, Michael Eisner, andava peggiorando. Eisner era furioso perché il socio prendeva qualsiasi decisione facendo di testa sua, senza considerare il suo parere nel acquisire titoli e con quali cifre. Fu proprio una controversia sulla distribuzione di  Fahrenheit 9/11 a far traboccare il vaso e dopo lunghe trattative Disney e Weinstein annunciarono che non avrebbero rinnovato i loro rapporti contrattuali, scaduti alla fine di settembre 2005. Mentre la Miramax rimase proprietà della Disney, Harvey e Bob avviarono una nuova società di produzione cinematografica, la Weinstein Company, portando con sé l’etichetta Dimension Films e continuando a produrre e distribuire decine di film, mantenendo i sodalizi più saldi come quelli con Tarantino e Smith. Nel frattempo Harvey divorziava da Eve Chilton per fidanzarsi con la stilista-attrice Giorgina Chapman, con  cui convolerà a nozze nel 2007.

L’ INIZIO DELLA FINE: LA CADUTA DEL GIGANTE

Una decina di dopo, il 10 ottobre 2017, Giorgina Chapman chiede il divorzio. Questo accade perché 5 giorni prima sul New York Times appariva l’articolo delle giornaliste Jodi Kantor e Megan Twohey, con al suo interno le prime testimonianze che accusavano Harvey di molestie sessuali, a partire da quella di Ashley Judd avvenuta vent’anni prima. Il modus operandi descritto dall’attrice e da alcune colleghe del produttore è sempre simile: avance sessuali insistenti pronunciate in accappatoio o direttamente nudo, in una stanza d’hotel o in ufficio fuori dagli orari di lavoro, magari iniziando con la scusa di un massaggio. Alla luce di queste vicende Harvey riferiva alla stampa quelle che sembrano delle scuse, affermando di essere consapevole dei comportamenti scorretti nei confronti di alcune colleghe alle quali ha recato molto dolore: sta cercando di migliorare. Il vero scoop arriva proprio il 10 ottobre da Ronan Farrow, figlio di Mia Farrow e Woody Allen, scrittore attivista che per anni ha condotto una battaglia legale contro il padre, accusandolo di aver molestato la sorella quando aveva 7 anni. Farrow pubblica sul New Yorker le accuse di 13 attrici che dicono di essere state molestate sessualmente da Wenstein. Spicca un lungo e dettagliato resoconto di Asia Argento che racconta di aver incontrato Harvey nel 1997, quando il produttore la invitò in un hotel sulla costa azzurra costringendola poi a un rapporto orale non consenziente. Nell’intervista l’attrice prosegue parlando di quanto sia stato traumatico per lei quell’evento, in seguito al quale ricevette costosi regali. Harvey la presentò persino a sua madre e nei 5 anni successivi andò avanti tra di loro una strana relazione; Asia disse a Farrow di essersi sentita in dovere di non far arrabbiare l’uomo, soprattutto dopo aver avuto una parte nel film targato Miramax B. Monkey- Una donna da salvare (1998), ma anche perché se l’avesse fatto la sua carriera sarebbe stata distrutta. Nel 2000 uscì il film Scarlet Diva: in una sequenza l’aspirante attrice Anna (interpretata da Asia) scappa dalle grinfie di un laido produttore che dopo averle chiesto un massaggio cerca di molestarla. A quanto pare Harvey si riconobbe nel personaggio in questione, anzi ci rise sopra, per poi confessarsi dispiaciuto per l’accaduto.

Harvey

La scena dell’incontro in albergo tra Asia e Weinstein ricostruito in Scarlet Diva

Farrow dichiara che avrebbe voluto pubblicare l’articolo mesi prima, ma le pressioni della NBC gli impedirono di farlo, la stessa omertà del silenzio che da anni gravava sui media, e su chi, con Weinstein, aveva un rapporto professionale. Sempre nell’ottobre 2017 il New Yorker rilascia la registrazione della polizia di New York City del 2015, nella quale Weinstein ammetteva di aver toccato Ambra Gutierrez, modella italiana finalista a Miss Italia, che aveva collaborato con le forze dell’ordine per provare di essere stata molestata da Harvey. Guarda caso l’inchiesta venne chiusa poco dopo per mancanza di prove e i tabloid iniziarono a pubblicare notizie diffamatorie sulla ragazza, descrivendola un’arrivista che in passato partecipava pure ai Bunga Bunga in casa Berlusconi. Lo scandalo esplode in tutto il mondo, Harvey viene licenziato dalla Weinstein Company ed espulso dall’Accademy Award, persino Bob dichiara senza rimorsi alla stampa che suo fratello è “indifendibile e malato”, definendosi lui stesso vittima di abusi verbali e fisici sopportati per anni. Nel frattempo la lista delle accuse si allunga, anche grazie al dilagare dell’hastag #MeToo: 93 le vittime dichiarate, tra queste 14 testimoniano di essere state stuprate. Il 11 febbraio 2018, quattro mesi dopo l’esplosione del caso, la società fondata da Harvey e Bob viene citata in giudizio dal procuratore dello Stato di New York per non aver tutelato i suoi dipendenti dalle molestie sessuali e dalle intimidazioni del produttore cinematografico. La volontà sarebbe quella di congelare la vendita della Weinstein Company programmata proprio nel mese di febbraio, inducendola a una probabile bancarotta. Tutto è in stand by dal momento che non sono ancora chiari i risarcimenti per le vittime di molestie dato che Harvey, formalmente, non è stato incriminato. Il caso Weinstein sembra essere la prima tesserina di un domino pronto a crollare: improvvisamente nel mondo dello spettacolo si inizia a parlare di abusi con gravi accuse per esempio verso Kevin Spacey, portato in causa da un suo impiegato e licenziato da Netflix dopo aver deciso di sospendere la produzione di House of Cards. Anche il cinema italiano non viene risparmiato, una decina di attrici dicono di essere state molestate da Fausto Brizzi e anche se le accuse non hanno nessun valore giudiziario, la Warner Bros dichiara che dopo l’uscita di Poveri ma ricchissimi sospenderà ogni futura collaborazione con il regista. Mal comune mezzo gaudio starà forse pensando Harvey che, anche in questo caso, supera i colleghi con un primato da brividi. Intanto le donne marciano di nuovo in piazza e una rasata Rose McGowan si erge paladina di un neofemminismo che fa parlare e vendere libri. Quest’anno Mr. Weinstein non sarà ringraziato da nessuno alla cerimonia degli Oscar, niente cene, niente hotel di lusso, niente massaggi. Una vita spesa per cercar di far parte di un’élitè per poi diventare l’ospite non gradito da Hollywood. Anzi, recarsi in un qualsiasi ristorante si rivela un’esperienza rischiosa per l’ex produttore, lo dimostra un video caricato su YouTube da un ragazzo che, dopo averlo avvicinato in un locale, gli ha mollato due schiaffi sulle guance paffute, lasciandolo con un’espressione allibita dipinta sul volto che fa quasi tenerezza. Un tempo Harvey avrebbe urlato a squarciagola con gli occhi iniettati di sangue. Che l’esperienza gli stia insegnando a controllare gli scatti d’ira?