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Time Breakers

Autore:
Rachel Pollack e Chris Weston
Editore:
Nicola Pesce Editore

Il nostro giudizio

L’hard science fiction, quella dei concetti complessi, quella della roba difficile sul serio, non è affatto semplice da scrivere. La prima difficoltà, infatti, è far capire al pubblico cosa stia succedendo, e se ciò è legato a speculazioni scientifiche, in special modo teoriche, ad alto livello, il compito non è affatto semplice. Chi scrive, infatti, non deve solo avere una buona comprensione di ciò di cui sta trattando, fatto non sempre scontato, ma deve essere in grado di raccontarlo efficacemente.
Ci prova Rachel Pollack con i viaggi nel tempo, e con la struttura del tempo stesso, con il suo Time Breakers, fumetto hard sci-fi che racconta le avventure dei Time Breakers, organizzazione che si oppone a una setta religiosa che cerca di far finire il tempo in quanto lo vede come una prigione per lo spirito. Se la soluzione narrativa sembra semplice, beh, di base lo è, e funziona. Pollack prende un modello più che collaudato nella narrativa di consumo e lo usa per rendere comprensibili concetti e ragionamenti tutt’altro che semplici da assimilare, specie pensando che, se la fantascienza ci ha abituati al paradosso temporale come qualcosa di negativo, in Time Breakers esso è l’unica speranza per il tempo di continuare a scorrere!

Time Breakers spariglia completamente le carte e vede i protagonisti viaggiare lungo il continuum temporale creando paradossi in continuazione per permettere al fiume del tempo di continuare a scorrere, in un susseguirsi di situazioni improbabili e scontri con armi al limite del surreale. Unica pecca: i personaggi non convincono fino in fondo, restano freddini senza far mai scattare grandi processi di identificazione. Ci sta, vista la complessità del tutto, ma resta una pecca.
Il ritmo, contro ogni aspettativa, è serrato. Pollack controlla alla grande la materia che tratta e la piega perfettamente alle sue esigenze narrative grazie anche a un Chris Weston, che non a caso verrà poi affiancato a Grant Morrison in lavori estremamente weird come Invisibles e The Filth, perfettamente a suo agio con luoghi, situazioni e atmosfere che si discostano con una sterzata decisa dal registro del realistico, dando all’opera un’impronta disorientante e vagamente disturbante.

Un Doctor Who fatto di crack non avrebbe saputo far di meglio.