Emanuelle nera

Tutti i film del ciclo con Laura Gemser

La fine di questa storia ne è, anche, in qualche modo, il principio. Anni Ottanta inoltrati, quasi anni Novanta. Il cinema di genere in Italia vive l’agonia del morituro. Nessuno crede più che il cinema bis possa funzionare su grande schermo. Alcuni, anche grossi nomi, come Lucio Fulci e Lamberto Bava, tentano di inserirsi in un contesto televisivo che finirà, però, per garrotare anche le loro ultime prove nel thriller-horror. Vedi la serie delle Case maledette di Fulci o i film di Brivido giallo di Bava, spariti nel nulla. Non è più tempo per loro, per i loro film. In questo panorama fosco, il solo Aristide Massaccesi alias Joe D’Amato continua a perseguire una propria idea di cinema, autarchico, autoprodotto, che tenta di vivere nella morte. Gira film erotici a New Orleans in America, tenta di costituire addirittura una factory horror con nuovi giovani talenti: scopre Michele Soavi, Claudio Lattanzi, Fabrizio Laurenti. Produce un film a Fulci, Le porte del silenzio, e a Lenzi. Resiste. E medita nuovi progetti, spesso irrealizzabili, perché troppo grandi, troppo ambiziosi, troppo “troppi”. Uno di questi si intitola Le due Emanuelle e prevederebbe di fare incontrare nello stesso film Sylvia Kristel e Laura Gemser, ossia l’Emmanuelle bianca (con due emme) e l’Emanuelle nera (con una emme). Niente a che vedere con filmetti che erano già stati fatti, tipo Emanuelle bianca & nera di Mario Pinzauti (1976), dove le sexy eroine, a buon mercato, evocate dal titolo erano Malisa Longo e Rita Manna. L’operazione di Aristide è pensata in grande. E non resta solo un progetto a parole, ma si concretizza in una sceneggiatura, scritta da Daniele Stroppa, un uomo del suo entourage, che ha sceneggiato anche per Fulci. Un altro giovane di talento alla corte di Massaccesi. Sono tutti d’accordo che, data l’età, sia la Kristel sia Laura Gemser in un progetto simile debbano limitarsi al ruolo di guest star, a entrare in azione soltanto ai margini della vicenda, che sarà incentrata sui loro figli. La figlia di Emanuelle nera, una splendida ragazza mulatta, che si innamora del figlio dell’Emmanuelle bianca e insieme vivono una serie di avventure sul crinale tra sesso e azione. Si pensa di ambientare il film in India, in un contesto esotico, perché l’esotismo sta ad Em(m)anuelle come le mosche al miele.

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Daniele Stroppa conclude la sceneggiatura. Il progetto è sul punto di partire, ma… Ma quando Massaccesi fa dei passi verso l’autrice dei romanzi di Emmanuelle, Emmanuelle Arsan ovvero la thailandese Marayat Bibidh (ma i maligni dicono che i libri glieli scrivesse il marito, un diplomatico francese) per capire quanto possa costare acquisire i diritti sul personaggio dell’Emmanuelle bianca, si trova di fronte un muro invalicabile. I costi sono spropositati. E lo stesso vale per il cachet di Sylvia Kristel, del tutto fuori dalla portata delle tasche di Aristide. Le due Emmanuelle resta un sogno. Una bella sceneggiatura (sopravvissuta) che non potrà mai uscire dalla pagina scritta. La fine contiene il principio, si diceva, perché tutto, in fondo, era scaturito dall’incontro casuale ma evidentemente predestinato, tra Sylvia Kritel e Laura Gemser sul set di un film tanti anni prima. Quando l’Emmanuelle con due emme era già una realtà, mentre il suo negativo, la sua parte nera, il suo alter ego diminuito di una emme, l’Emanuelle nera, viveva ancora soltanto nel mondo delle idee platoniche. Il film era Emmanuelle 2 l’Antivergine, di Francis Giacobetti, del 1975. Laura Gemser vi interpretava un piccolo ruolo nella parte di una massaggiatrice che iniziava alle gioie del tantrismo lesbico Catherine Rivet, mentre lì accanto la Kristel riceveva lo stesso trattamento da un’altra massaggiatrice. Gli eventi intorno alla nascita del personaggio di Emanuelle nera si consumarono tra il 1974 e il 1975 e furono solo in una certa misura pianificati. Le circostanze, il caso, cooperarono. Laura Gemser, un fotomodella di origini indonesiane (nata il 5 ottobre del 1950 nell’isola di Giava, la patria delle pantere nere) era stata notata in fotografia da chi si occupava del casting di una pellicola prodotta dall’Aquila Cinematografica, la società che aveva lanciato Zeudi Araya nel cinema con La ragazza dalla pelle di luna (1971). Si pensava di girare un altro film di carattere erotico-esotico, alle Seychelles, dal titolo Amore libero – Free Love, e la produzione era alla ricerca di una ragazza di colore che esprimesse una carica di sensualità primigenia. Una nuova Zeudi Araya. Laura sembrò perfetta per il ruolo: la fecero venire in Italia, la provinarono e la presero subito.

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Sui manifesti e nei titoli di Amore libero, la Gemser è accreditata semplicemente come Emanuelle – con una sola emme, affinché non si creassero problemi di diritti con il personaggio creato da Emmanuelle Arsan. È ovvio che il successo recentissimo del film di Just Jaekin, Emmanuelle (1974), giustificasse la scelta di quello pseudonimo. Si cavalcava un’onda. E se in Amore Libero Laura non è ancora, pienamente, l’Emanuelle nera che poi conosceremo, al film di Ludovico Pavoni va riconosciuto il merito di avere creato “in potenza” il fenomeno della Gemser come doppelganger di colore dell’Emmanuelle Sylvia Kristel. I servizi fotografici sui magazines per soli uomini, come Lui in Francia e Playmen in Italia contribuirono ad accrescere l’aura di fascino esotico intorno a Laura/Emanuelle, che si ritrova catapultata in un film dopo l’altro senza avere mai pianificato una carriera come attrice: «Facevo e volevo fare la fotomodella. Ero ancora una bambina. Venni in Italia appositamente per girare Amore libero Free Love, perché qualcuno era rimasto impressionato dalle mie fotografie e aveva preso quindi contatto con la mia agenzia. Anche la parte che feci dopo in Emmanuelle 2, nacque perché il regista Francis Giacobetti era un fotografo con il quale avevo realizzato già diversi servizi di nudo e di moda. Mi ricordo il giorno in cui mi chiese se volessi fare una parte nel film che avrebbe girato, Emmanuelle 2. E io gli risposi: “Perché no?”».

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La faccenda cominciò a farsi seria solo con Emanuelle nera di Bitto Albertini, che pronunciò il vero fiat creatore del personaggio, ne stabilì i connotati, trasformò la potenza in atto. Albertini rivendicava questa invenzione e sosteneva di avere trovato casualmente Laura in Belgio e, vedendola, di avere immediatamente capito che lei e solo lei poteva essere la Black Emanuelle. In realtà, l’antecedente necessario era stato Amore Libero – Free Love, tant’è vero che sui manifesti italiani di Emanuelle nera, Laura Gemser non era presentata con il suo nome vero ma ancora, semplicemente, come Emanuelle. Dietro Emanuelle c’era l’immaginario del suo doppio incarnato dalla Kristel: come Emmanuelle, Emanuelle nera è un’eroina sessualmente disinibita, rotta a ogni tipo di esperienza erotica, con l’altro sesso e soprattutto con il proprio. Ma nello stesso tempo, la nera si distanzia dalla bianca perché rinuncia alla dimensione tendenzialmente crepuscolare e malinconica del personaggio interpretato da Sylvia Kristel, che ha in sé qualcosa di lunare, e si perde talvolta nel dubbio, nell’introspezione. Emanuelle nera è, al contrario, totalmente solare, ha la determinazione e il cinismo giusti, che piacciono al pubblico e che le derivano dal suo lavoro come fotoreporter. L’Emanuelle nera di Laura Gemser è una donna emancipata e determinata, che ha visto tutto, ha fatto tutto (o quasi) e che non ha tempo da perdere. Nemmeno, e particolarmente, con l’amore: «Io ti amo, ma tra un mese, domani, sarò nelle braccia di un altro: non è colpa mia se sono così!». Con un carattere del genere tra le mani, forte, definito, senza inutili chiaroscuri, una specie di succedaneo sullo schermo delle protagoniste dei fumetti italiani per adulti che andavano per la maggiore all’epoca (Jolanda, Isabella, Vartan, Sukia…), registi come Bitto Albertini e Joe D’Amato, che da Albertini avrebbe raccolto il testimone dell’Emanuelle nera, erano invitati a nozze.

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La Gemser è docile, fa ogni cosa senza opporre resistenza, anche se Albertini ricordava che l’attrice indonesiana, da principio, considerò il film come un gioco ed era difficile farla recitare. «Non lo prendeva sul serio, all’inizio, ma poi diventò piuttosto brava». Emanuelle nera era il personaggio che serviva in quel momento al cinema italiano sexploitation; e le potenzialità che una serializzazione delle sue avventure poteva riservare erano infinite: la sessualità, l’azione, il dramma, l’esotismo si potevano ricombinare in una miscela funzionante e vincente. Fu chiaro a tutti, dopo il successo del film di Albertini, che bisognava continuare. Fu chiaro per lo stesso produttore di Emanuelle nera, Mario Mariani, che si gettò subito nella produzione di un Emanuelle nera nr. 2. E fu soprattutto chiaro al produttore Edmondo Amati della Fida cinematografica, che trovò la maniera di portare nella sua scuderia Laura Gemser, contrattualizzandola e “rubandola” ad Albertini, che il suo seguito fu costretto a girarlo con la sconosciuta mulatta Shulamit Lasri, sorta e tramontata nello spazio di questo solo film. Amati compì una manovra che solamente nell’Italia cinematografica di quegli anni era possibile. Avendo tra le mani una sceneggiatura che era stata scritta da Piero Vivarelli e Ottavio Alessi ispirandosi alla giornalista italiana Oriana Fallaci, intitolata appunto La giornalista, la riconvertì nello script di un film con protagonista Laura Gemser-Emanuelle nera. Joe D’Amato fu chiamato a dirigere. Il titolo era Emanuelle nera – Orient Reportage e riciclava la struttura dello script iniziale di Vivarelli e Alessi che aveva un andamento episodico e seguiva le peripezie della protagonista nei suoi reportages in varie zone “calde” del pianeta. Con la differenza che la Fallaci si occupava di guerra e di politica. Emanuelle nera si occupa invece, sostanzialmente, di sesso. Il sesso e l’erotismo sono le sue credenziali. I suoi mots de passe. Che le aprono tutte le porte.

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Sotto la guida di Joe D’Amato, i film di Emanuelle nera acquistano una fisionomia singolarissima, del tutto assente nel modello di Albertini: sono come antologie di eventi bizzarri, selvaggi, eccitanti ma anche terribili, attraverso i quali Laura Gemser passa, armata e forte della sua bellezza, della sua spregiudicatezza e della sua imperturbabilità. Spesso, sui manifesti, il lancio pubblicitario dei film faceva equivocare se ciò che si sarebbe visto era reale o fittizio. Lo stesso scaltro equivoco che stava dietro ai mondo-movies: “Laura Gemser la vera Emanuelle ha fotografato per voi: bordelli per sole donne, le schiave del piacere, snuff, come si divertono i ricchi e i nobili, l’amore sentimentale e sessuale nato tra una donna e un cavallo”.  Se ancora Emanuelle nera Orient Reportage è frenato in questo senso e copia dal film di Albertini (alcune scene come l’amplesso a  bordo della nave alternato al lavoro degli stantuffi nella stiva clonano scene molto simili di Emanuelle nera) e se Joe D’Amato si contiene e non eccede, il discorso muta radicalmente con il successivo Emanuelle in America (1977), che non soltanto è il miglior film tra le Emanuelle nere, il miglior film di Laura Gemser e il miglior film di Joe D’Amato, ma probabilmente è anche il miglior sexploitation italiano (e non solo) degli anni Settanta. Perché in Emanuelle in America c’è davvero tutto, a cominciare dalle multiformi pratiche sessuale messe in scene che comprendono anche una sequenza animal, reale, tra l’attrice Maria Renata Franco e un cavallo, per approdare all’hard vero e proprio e alla brutalità insostenibile di un finto snuff movie, con donne seviziate e massacrate da mercenari sudamericani, talmente ben fatto da venire scambiato per un documento reale e andare incontro a noie legali. La parola chiave in Emanuelle in America è “contaminazione”: incrociare i generi tra loro più distanti e miscelarli per ottenere un cocktail di fragranza assolutamente nuova. Difatti, Emanuelle in America non è definibile, non è catalogabile: definirlo solo un film erotico, gli toglie più di qualcosa. E lo stesso vale se lo definiamo un horror.  Ma la parola chiave è anche sperimentazione.

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Emanuelle in America è un laboratorio in cui si tentano – magari inconsapevolmente – formule all’avanguardia: il cinema erotico italiano, in quel frangente, si stava sganciando dal passato e si proiettava verso la nuova dimensione del porno, delle luci rosse, del mostrare tutto quello che fino al giorno prima era inimmaginabile mostrare. Così, Emanuelle, per mezzo della sua piccola macchina fotografica, camuffata da accendino o da monile, è una voyeur scagliata all’interno di mondi dove l’eccesso, la dismisura, il parossismo sono la regola. Ma nella rappresentazione dell’erotismo e della sessualità, la frontiera da abbattere, il limite da oltrepassare, era la realtà. L’atto sessuale non simulato. Scene di carattere esplicito erano già state introdotte da Albertini in Emanuelle nera, ma avevano ancora il carattere di inserzioni, di parentesi realizzate ad uso e consumo di alcuni mercati esteri, secondo una prassi (le storiche french-version) che in Italia era invalsa da molti anni. Con Emanuelle in America, questa pratica assume altri connotati. Leggenda vuole che le sequenze hard fossero nate quasi per caso mentre si girava Emanuelle in America, quando un’attrice che doveva simulare una fellatio al partner nel corso di una festa orgiastica a Venezia, si lasciò convincere dal regista e dall’operatore ad andare più in là del solito. Ma è legittimo farsi venire qualche dubbio. Rispetto alle scene a luci rosse che oggi ritroviamo nella versione uncut del film, sappiamo che ne furono girate altre, per un totale di almeno cinque sequenze. C’era del metodo, una pianificazione evidentemente. Il perseguimento dell’hard comincia quindi ad essere sistematico, tutt’altro che una casualità o un evento accidentale. La Gemser è andata sempre esente da coinvolgimenti in scene del genere, ma sapeva, vedeva, intuiva che D’Amato lavorava anche in quella direzione: «Ho sempre creduto che Aristide girasse dei film porno contemporaneamente ai nostri. Ma non che si trattasse di scene da inserire negli stessi film. Me ne sono accorta tardi, quando una volta andai a vedere Caligola la storia mai raccontata. C’è in quel film una scena in cui io e l’imperatore Caligola, David Brandon, ci incamminiamo verso una camera da letto. Mentre camminiamo, parte una lunga scena porno, incredibile, e dopo mezzora di sesso sfrenato, riprende la scena con noi che entriamo in camera da letto. Mi ricordo che quando vidi Aristide, gli dissi: “Cazzo, Ari’, questa camera da letto era proprio lontanissima!”».

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Dopo Emanuelle in America, Emanuelle: perché violenza alle donne. Che è il secondo migliore film della serie. Girato e fotografato bene, con ritmo, pieno di idee, arricchito da belle musiche di Nico Fidenco – le Emanuelle nere di Massaccesi sono anche le loro colonne sonore. In una memorabile sequenza nel castello di Mezzano trasformato in un ashram, George Eastman/Luigi Montefiori che interpreta un santone indiano profeta dell’orgasmo infinito, viene sessualmente ridicolizzato da Emanuelle che gli causa una eiaculatio precox. C’è la sensazione gradevolissima di un film fatto tra amici, quasi in famiglia, in rilassatezza. Anche se molte scene picchiano dure, torna l’animal con protagonisti cani e serpenti e ormai la pratica del porno è consolidata. Montefiori ha messo mano, benché non accreditato, alle sceneggiature di alcune Emanuelle nere. Scrisse, ad esempio, il soggetto di Emanuelle e gli ultimi cannibali, altro caposaldo del ciclo, in cui Laura Gemser si ritrova nella giungla del Mato Grosso – ricostruita nei pressi di Roma, nella tenuta di Foigliano – alle prese con indigeni divoratori di carne umana. Questo film di Massaccesi è, peraltro, significativo di quanto fosse ormai facile spostare un personaggio come Emanuelle nera in qualunque contesto, proprio come era avvenuto nel genere peplum con il personaggio di Maciste, che poteva finire in qualunque tempo, in qualunque luogo, dentro qualunque avventura ad affrontare qualsiasi antagonista. Anche Emanuelle diventa una figura ubiqua, multifunzionale. Il successo del film di Ruggero Deodato Ultimo mondo cannibale, costituiva il background di questo nuovo capitolo di Emanuelle nera, che pur in mezzo a indios antropofagi e coinvolta in una vicenda molto truculenta (Donal O Brian in una sequenza viene letteralmente segato in due), non si nega ai rapporti  con partner d’ambo i sessi – in particolare Gabriele Tinti, che nella realtà era diventato il marito della Gemser al termine delle riprese di Emanuelle in America, e la giovane Monika Zanchi, ultima delle ragazzine, dopo Debbie Berger e Brigitte Petronio, che si legavano safficamente ad Emanuelle come a un’amica, amante, maestra e consigliera.

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Anche al di fuori dell’ epopea di Joe D’Amato, che formalmente si chiude in una pentalogia con l’ultimo film La via della prostituzione (1978), un capitolo sottotono rispetto ai precedenti e che in Italia rinunciò persino a tenere il nome di Emanuelle nel titolo (mentre all’estero venne distribuito come Emanuelle and the White Slave Trade), Laura Gemser continuava ad essere Emanuelle nera, di nome se non di fatto. Nel film di Brunello Rondi Velluto nero, girato nel 1976 pressoché in contemporanea a Emanuelle nera Orient reportage – che all’inizio, curiosamente, doveva avere lo stesso titolo: Velluto nero –, Laura interpreta una fotomodella di nome Emanuelle, bisex e disinvolta nell’unirsi a maschi e femmine. Film curioso, con bellissime musiche e almeno due scene fatali: l’allucinante possessione della Gemser da parte del dio Wotruba e il finale in cui, completamente nuda, Emanuelle si incammina nel deserto mano nella mano con Annie Belle verso un nuovo destino di libertà. In Spagna lo distribuirono come Emanuelle viciosa. Sempre nel 1976 era uscito in Italia La spiaggia del desiderio di Enzo D’Ambrosio: Laura veniva accreditata solo come Emanuelle e agiva nel contesto di un triangolo incestuoso su un’isola sperduta del Venezuela – una figlia si concede sia al padre che al fratello. Laura sembra più giovane degli altri film contemporanei ed è possibile che il film sia da retrodatare di un anno e forse anche di più. Nel 1978, mentre si chiudeva il ciclo di Massaccesi, lo stesso produttore del primo Emanuelle nera, Mario Mariani, si inventò un Suor Emanuelle facendo prendere i voti e il velo monacale alla Gemser, che non riusciva, tuttavia, nemmeno così a estinguere la propria sessualità ardente e onnivora ed era affiancata dagli stessi partner di Emanuelle e gli ultimi cannibali: Gabriele Tinti e Monika Zanchi. Diretto da Giuseppe Vari, il film è modesto, anche se filmando una fellatio non simulata dimostra di avere perfettamente recepito la nuova filosofia delle Emanuelle nere di Joe D’Amato e il nuovo spirito dei tempi. Altre operazioni predatorie sul nome e sul personaggio di Laura Gemser/Emanuelle nera, utilizzata per presentare dei mondo-movie iperbolici, truci e ovviamente in gran parte fasulli, furono realizzate da Massaccesi e da Bruno Mattei, tra il 1977 e il 1978, con Le notti porno nel mondo ed Emanuelle e le porno notti nel mondo nr. 2.

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Il 1978 fu quindi l’annus horribilis, in cui si consumò il tramonto di Emanuelle nera, che dopo un triennio di spremitura costante e intensiva aveva, a quel punto, fornito tutta la sua sostanza disponibile. Vero è che Ilias Milonakos ancora nel 1979 tentò di resuscitare il nome di Emanuelle in Sexy Moon (aka Emanuelle Queen of Sados), dove la Gemser aveva il primo nome sul manifesto ma era eroticamente oscurata dalle prestazione della giovanissima Livia Russo che interpretava sua figlia. Tardive (1982) e un po’ tristi reviviscenze furono anche una coppia di woman in prison, Violenza in un carcere femminile e Blade violent – I violenti, architettati in coproduzione con la Francia da Bruno Mattei, che firmò il primo e lasciò la paternità nominale di Blade violent a Gilbert Russel, benché gli esecutori materiali del film fossero lo stesso Mattei e Claudio Fragasso. Il concetto era lineare: rispolverare Laura Gemser e il carattere della reporter di colore Emanuelle per infiltrarlo in prigioni di massima sicurezza ad indagare su una vicenda di soprusi e di malversazioni nel caso del film diretto da Mattei e su un intrigo cospirazionista ai danni proprio di Emanuelle nella pellicola firmata da Roussel. Varianti sexploitation e truculente della trama di Brubaker (1980) e simili. Siamo all’esasperazione dell’esasperazione: tutto in questi due ultimi esemplari dell’Emanuelle nera è urlato, greve, rozzo, violento all’ennesima potenza. Ma non lascia niente, scorre via come acqua. Così passò la gloria di Emanuelle nera. Che dopo il progetto naufragato delle Due Emanuelle da cui siamo partiti, Massaccesi aveva pensato di resuscitare addirittura in un film hard, contestualmente alla sua produzione degli anni Novanta ormai totalmente orientata al porno. Per fortuna, non lo fece mai.