David Hamilton

Muore a 83 anni. forse suicida, il fotografo delle fanciulle in fiore

Il corpo senza vita di David Hamilton è stato ritrovato nel suo appartamento di Boulevard Montparnasse, a Parigi, il 26 novembre. La morte risalirebbe alla sera di venerdì. Accanto al cadavere, alcune confezioni di farmaci che lasciano supporre come altamente probabile un suicidio. Hamilton era stato in tempi recenti coinvolto in uno scandalo sessuale, innescato dalla presentatrice della tv francese Flavie Flamant, la quale aveva rivelato di essere stata stuprata dall’artista, celebre per la sua propensione per le fanciulle in fiore, all’età di 13 anni. La Flamant si è comunque detta “devastata” dalla notizia del suicidio del fotografo-regista. Quello che segue, è un pezzo “storico” nocturniano, pubblicato sul numero 24 seconda serie della rivista, nel book Maladolescenza, in cui Marcello Moriondo tracciava un ritratto della carriera dietro la macchina da presa di David Hamilton. 

David Hamilton era conosciuto dal grande pubblico soprattutto come fotografo. Aveva iniziato la sua carriera pubblicando alcune foto per la rivista Twen in Francia, dove si era trasferito giovanissimo da Londra. Di lì a poco, la sua fama crebbe in maniera smisurata e le sue foto, chiaramente ispirate alla sua prima grande passione, la pittura, cominciarono a vantare un nutrito stuolo di ammiratori. Il primo album fotografico, Sogni di fanciulle, ispirato alla canzone di Leonardo Cohen Suzanne, vide così la luce. Il successo fu immediato (centomila copie vendute) e a quel primo album seguirono altrettanti hit quali Les Demoiselles d’Hamilton, La danse, Collection privée e Souvenirs. Hamilton era onesto nello spiegare l’attenzione verso il suo lavoro: «Se è vero che un particolare utilizzo della luce e dei colori caratterizza le mie fotografie, esse devono il loro successo – e senza dubbio un certo discredito oggi – al tema prediletto che attraverso di esse ho trattato: la giovane donna. Chi ha osservato attentamente le mie opere, sa che non si tratta di fanciulle qualunque. (…). Tra le fanciulle, in un momento preciso della loro età, ce ne sono alcune che hanno il potere di esercitare su uomini ben più maturi un’attrazione erotica fortissima. È una sorta di fascino magico e passeggero che colpisce questi uomini, dei quali faccio parte, in una sfera segreta della loro sensibilità. Non si tratta di letteratura, né di amor platonico, ma di una confessione sincera che pochi uomini preda di questo desiderio tabù oserebbero fare».

Il successo mondiale derivato dalle fanciulle in fiore proposte attraverso le sue fotografie non poteva non ingolosire il mondo del cinema, che vide in David Hamilton un nuovo pioniere dell’erotismo. A metà degli anni Settanta gli venne proposto di dirigere Emmanuelle, pellicola tratta dall’omonimo romanzo di Emmanuelle Arsan, ma il fotografo declinò l’offerta perché sentiva l’argomento lontano dalle sue ossessioni e dal suo lavoro. Affascinato dal grande schermo, Hamilton era riluttante a compiere il grande passo, ma fu solo questione di tempo. Il cinema, al contrario della fotografia, indusse Hamilton a servirsi di una sorta di sceneggiatura e le protagoniste, da immobili modelle passive, diventarono fluttuanti e moderne ninfe. Ma, come nella fotografia, la sceneggiatura e il set (per quanto ben costruito) servono solo da pretesto per una elegante carrellata di giovani debuttanti. Eppure i nomi illustri, i futuri talenti e le condizioni non gli sono mancati.

L’eccezione è il primo film, di regia collettiva, Hildegard Knef and Her Songs, del 1975, un omaggio alla grande attrice e alle sue canzoni. Nessun romanzetto sentimentale sotto il sole d’estate, dietro il volto dell’artista tedesca. Attrice di teatro, di cinema, di televisione, cantautrice, scrittrice, oltre 50 film alle spalle, Hildegard aveva 20 anni durante la seconda guerra mondiale, cantava e recitava nei cabaret berlinesi, sotto i bombardamenti. Poi, travestita da soldato per paura delle violenze degli alleati, è finita in trincea e quindi in un campo di prigionia polacco. Infine è arrivato Hollywood, il successo e un best seller, Grazie di cuore, edito in Italia da Longanesi, in cui racconta la sua vita avventurosa. Già nel 1972, pochi mesi dopo aver dichiarato che “il cinema non è certo erotico”, Hamilton aveva portato davanti la macchina da presa le sue giovanissime modelle nel cortometraggio Jeunes filles en fleurs, dove esponeva le grazie delle protagoniste al grande pubblico, non più nella classica misura A4 delle riviste, ma nella estensione del grande schemo. Nel 1977 Hamilton scomoda le opere di Pierre Louys, e riduce per lo schermo Bilitis. La sceneggiatura è nelle mani sapienti di Catherine Breillat, che ha tutta una carriera davanti a sé, di scrittrice, sceneggiatrice e regista. Come nei film successivi, le attricette sono le stesse modelle che posano per le sue fotografie, tra cui spicca Mona Kristensen, all’epoca compagna del regista anche nella vita. È una messa in scena che tende soprattutto a scoprire (nel senso di spogliare) le forme adolescenziali, indugiando sui particolari con la cinepresa: un’estate fra dune, vecchie capanne e onde salate. In questa storia, tra il saffico e il bisex, si nota la presenza di un giovane attore che ha davanti a sé una intensa carriera teatrale e cinematografica: Bernard Giraudeau, in seguito partner di Valérie Kapriski in La medusa di Christopher Frank. Accanto a lui quello che possiamo chiamare uno tra i migliori attori giovani francesi degli ultimi anni, Mathieu Carrière. Nel ruolo della dolce e maliziosa Bilitis troviamo, invece, Patti D’Arbanville, attrice allora ventiseienne che grazie al suo fisico da eterna adolescente è risultata perfetta nel ruolo di una minorenne. Patti, tra l’altro, aveva esordito a soli 17 anni in una pesante scena d’amore saffico in Flesh (1968) di Andy Warhol.

Ecco come David Hamilton ricordava il suo debutto dietro la macchina da presa: «Da anni i produttori cinematografici mi chiedevano di ricreare in un film l’atmosfera delle mie fotografie. Avevo sempre rifiutato. Sapevo che il cinema è un’arte molto complessa, che combina tecniche, talenti e persone molto diversi tra loro. Le mie fotografie invece sono fatte in modo del tutto spontaneo e nell’intimità. Una bella luce, che dura non più di qualche minuto, può essere catturata in una fotografia, ma quando ci si ritrova con una équipe, del materiale grezzo su cui lavorare e si deve ripetere una scena dieci volte per averne una buona, si può essere certi che passerà una nuvola o che il sole tramonterà. Eppure, Henry Colpi, realizzatore e montatore, e Bernard Daillencourt, direttore della fotografia, ebbero il talento e l’esperienza necessari a rendere Bilitis un film affascinante, in cui il pubblico poteva ritrovare l’atmosfera delle mie fotografie. (…). È stato girato tutto nel mondo a me familiare: le colline di Ramatuelle, le spiagge, il castello di Saint-Amé, sotto il comune di Saint Tropez. Quel castello, follia di un miliardario dei primi del secolo, non è mai stato finito e noi lo utilizzammo come studio. L’incontro con lo scenografo Eric Simon fu determinante per la riuscita di Bilitis. Eric e io trovammo subito delle vere affinità di gusto per i mobili, i colori e le forme. (…). Il film uscì nel 1976 e fu un successo».

Non altrettanto bene andò nel 1979 il successivo Laura, les ombres de l’été. Ancora un’estate e ancora una ninfetta che si lascia accarezzare dall’occhio indiscreto della cinepresa, ma non solo. Anche l’obiettivo della macchina fotografica, nelle mani di Sarah (Maud Adams), la madre di Laura, esplora il giovane corpo senza veli. La splendida Dawn Dunlap, nei panni di Laura, posa nuda anche per uno scultore (James Mitchell). In seguito Dawn interpreterà diversi film, tutti inediti in Italia. L’anno seguente è la volta di Tenders Cousines (Tenere cugine), dove il regista usa per una volta un maschio per protagonista, il quattordicenne Julien (Thierry Savini). Una sceneggiatura campestre cui ha collaborato anche il regista Claude d’Anna, che vede il ragazzino nell’improbabile tentativo di carpire il cuore della bellissima cugina Julia (Anja Schute) e quindi di portarsela in un letto (d’erba). Location agreste, quindi, e in una tipica casa padronale provenzale. Tra corse affannose in bicicletta, bagni (nudi) in vecchie vasche di zinco, recite al limite del travestismo, seduzioni pericolose, tradimenti, spiccano nomi famosi del cinema d’oltralpe. C’è Valérie Dumas all’inizio della carriera; la veterana Macha Méril nelle vesti della mamma di Julien; Anne Fontane, ancora ballerina e attrice, prima di fare teatro e diventare regista (Les histoires d’amour finissent mal en général); ancora una giovane promessa, Fanny Bastien; e tra i produttori la futura regista di Marquise, Véra Belmont. Il film fu un successo, ma Hamilton si dichiarò subito insoddisfatto della riuscita. A riprese iniziate il regista, incapace di realizzare concretamente quello che gli suggeriva il suo gusto estetico, si disinteressò quasi subito del film. In effetti Tenere cugine rispetto a Bilitis è un chiaro passo indietro, sia dal punto di vista erotico, sia da quello prettamente estetico. Lo stile di Hamilton si vede solo a tratti e il film precipita sotto il peso di inutili lungaggini e tempi morti.

Nel 1983 il contratto che lo legava al produttore Alain Terzanspinge, un colosso francese, spinse Hamilton a realizzare in fretta e furia, quasi senza una sceneggiatura, l’ennesimo film: Premiers désirs. Un’altra vacanza, un’altra estate, lo stesso mare. A seguito di una tempesta, tre ragazze naufragano con la loro barca su un’isola sconosciuta. Queste tre Crusoe in fiore scoprono a poco a poco i loro “primordiali” desideri. A riempire lo schermo è la tedeschina Monica Broeke e al suo fianco l’esordiente Emmanuelle Beart, che in seguito ripudierà il film, “dimenticandosi” di inserirlo nella sua filmografia. E ancora Anja Schute e una ragazzina che farà strada: Ann-Gisel Glass, protagonista, tra l’altro, della risposta italiana a Cristiana F.: Hanna D., la ragazza del Vondel Park. Le musiche sono di Philippe Sard. L’anno seguente, con Un’été à Saint-Tropez, Hamilton torna ad esporre i corpi delle ragazze come ai tempi di Jeunes filles en fleurs, in un film quasi privo di dialoghi, lasciando l’esclusivo piacere all’occhio, che segue le forme sinuose delle giovani fanciulle in fiore. Nel 1991 la Thekoa Film annunciò il ritorno di Bilitis. Il film si intitolerebbe Bilitis, My Love, Patricia Van Haaren sostituirebbe Patti D’Arbanville nel ruolo della protagonista. Uso il condizionale perché dei 90 minuti della pellicola (più 13 episodi televisivi di 26 minuti ciascuno), si sono perse le tracce. Altre opere sono state promesse, se poi si sono materializzate non mi è giunta notizia. In Italia sono circolati solo due film: Bilitis e Tenere cugine. Il grosso del lavoro di Hamilton regista, o quel che ne rimane, è altrove.