Corda. Corda doppia. Cappio!

Il linguaggio in codice di Lucio Fulci
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Era d’estate. Faceva caldo. Il plot di Terapia mortale faceva schifo. Eravamo impantanati nel più dissoluto fancazzismo. Dissi una cosa (non ricordo quale, probabilmente una genialità) e Fulci con la sua vocina in falsetto sogghignò con cattiveria: «Corda». Lo guardai, mentre si accendeva la pipa, che non sapeva fumare, e sputacchiava scatarri e tabacco un pò ovunque. Rise con quei suoi occhietti da clown che si nasconde dietro una maschera. Dissi un’altra cosa, cercando di aggiustare la prima. «Corda doppia» disse Fulci. Allora guardai Gianviti, che faceva il sornione con l’aria di chi ha già subito, patito ed è, per sua fortuna, sopravvissuto. Tornai a guardare Fulci, che aveva l’espressione felice del boia che sta per calare la mannaia. Feci finta di niente, ma arroccai in siciliana: difesa aggressiva e tempo, citando una sequenza di grande tensione dal terzo film di Paul Menard, film bellissimo quanto sfortunato, molto amato da Orson Welles e da Hitch. Tacquero ed annasparono in difficoltà. Fulci fece anche finta di ricordarsi del film (impossibile perché Paul Menard è un personaggio che non esiste inventato da Borges nella “Biblioteca di Babele”)… Quando Fulci, finalmente, si alzò per andare a pisciare guardai Gianviti e Roberto mi spiegò che “Corda, corda doppia” (come anche il famoso “lepre”: che se c’è, c’è il film, e se non c’è, non c’è il film) facevano parte di un lessico cinematografico derivante da Steno, molto in uso durante le riunioni di sceneggiatura a sei, sette, anche nove persone quando si scrivevano i film ad episodi e ognuno diceva una gag.

“Corda” era un ammonimento: avevi detto una cazzata, venivi buttato fuori dalla finestra ma legato a una corda per poter essere recuperato. “Corda doppia” equivaleva al cartellino giallo. Venivi buttato con cappio al collo e corda di recupero, prima che il cappio stringesse venivi ritirato su. “Cappio” venivi buttato con corda al collo e basta, restavi a penzolare impiccato, senza più diritto di parola, ovvero licenziato. Fu allora che quando Fulci tornò dalla sua pisciatina mi inventai la storiellina dell’orologino col carillon che suonava. Fulci si drizzò di scatto. Disse «Cazzo!» e s’inventò il titolo: Sette note in nero. Gianviti sorrise sornione e annuì con la testa. Fu allora che dissi loro che Paul Menard non esisteva e non aveva fatto alcun film. Corda. Corda doppia. Cappio! Che cinema ragazzi. Oggi si parla di teaser, destrutturalizzazione, ozonizzazione delle anatre selvatiche, ma questa è un’altra storia e riguarda un signore di 90 anni che tutte le domeniche affittava una Citröen con autista, comprava un cabaret di 20 paste e diceva alla moglie che andava a trovare la sua amante.