Cesare Canevari: l’eroSSvastika come storia d’amore

L’ultima orgia del Terzo Reich: il tentativo di una drammaturgia più complessa
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Con L’ultima orgia del Terzo Reich il nazi tenta la strada di una drammaturgia più complessa del solito: il campo di concentramento e gli orrori collegati passano sullo sfondo, e ad emergere è il rapporto maledetto tra i due protagonisti.

L’ultima orgia del Terzo Reich è stato distribuito in America, nel mercato video, con il titolo Caligula reincarnated as Hitler. Di Caligola si è scritto di tutto e forse i distributori americani hanno letto Svetonio e hanno pensato che un’idea come quella di una ragazza ebrea che viene imbandita come pietanza flambé per la mensa degli ufficiali nazisti, fosse talmente enorme che solo l’evocazione dell’ombra infame del figlio di Agrippina e di Germanico potesse servire come paragone. L’antropofagia, obiettivamente, ancora mancava al corredo orrorifico degli erossvastika. La scena in questione, commentata da discorsi parafilosofici dei commensali che giungono alla conclusione che l’unica utilità degli ebrei sarebbe quella di fungere da cibo per la razza ariana, avrebbe potuto esserci in Salò e nessuno avrebbe trovato nulla da ridire. In realtà, il film di Cesare Canevari cerca una propria identità oltre i luoghi comuni del genere, che vengono omaggiati solo come una necessità cogente a cui non è possibile sfuggire. Lise, interpretata da una pressoché catatonica Daniela Poggi, allora Daniela Levy (ma non vi azzardate a nominarle questo titolo oggi, perché potrebbe anche ficcarvi subito due dita negli occhi) è la prigioniera di un campo di concentramento. Il film non inizia subito in medias res, ma con un balzo in avanti di alcuni anni rispetto ai fatti che verranno narrati, quando Lise si aggira, impellicciata e agghindata, nei luoghi che furono teatro della sua vicenda e di quella di Konrad, un ufficiale tedesco (Marc Loud alias Adriano Micantoni, interprete di prosa e soprattutto doppiatore) con il quale la donna si capisce subito aver stretto un legame sentimentale. La Lise di diversi prima aveva perduto i genitori e il senso di colpa l’aveva annichilita riducendola, nel lager, a una sorta di automa accondiscendente a qualsiasi orrore venisse sottoposta. Questo aveva conquistato il potente e perverso Konrad. Ma una volta appreso di non essere stata responsabile della morte dei suoi, Lisa cambiava atteggiamento verso la vita, voleva scampare all’inferno e per questo non esitava a legarsi a Konrad, avendo da lui anche un figlio che, però, l’uomo la costringeva a uccidere. Ma molti anni dopo, sui resti del campo della morte, chiamato per antifrasi Lieben Camp, Lise avrebbe incassato tutti i sospesi da Konrad. L’inizio e la fine della storia, così, si saldavano.

Canevari andava particolarmente fiero di una sequenza del suo film in cui la Poggi fa l’amore con il medico del campo (Fulvio Ricciardi) e l’impressione – cioè la bravura del regista – è che lo stiano facendo sul serio, come Julie Christie e Donald Sutherland in A Venezia un dicembre rosso shocking – titolo che era stato inventato, non casualmente, proprio da Canevari . Sequenze dove si scopava davvero, peraltro, erano presenti nell’Ultima orgia, durante l’accoppiamento in palestra tra i soldati tedeschi e le vergini ebree, che discendeva direttamente da Salon Kitty anche se Canevari, agli antipodi rispetto alla solarità brassiana, ghiaccia atti e dettagli, con ralenti e stop frames, in immagini che potrebbero anche essere evocative delle sevizie finali di Salò (di nuovo), una pellicola che dall’immaginario degli erossvastika risulta di solito bandita, perché evidentemente troppo estrema e irraggiungibile. Peni eretti scappano qua e là nel film e un accenno di masturbazione punteggia la scena in cui la perfida Kapò Wagma (Maristella Greco) scuoia un prigioniero. Al computo degli orrori anche una scena in cui Lise, appesa per i piedi, nuda, viene calata in una teca di vetro contenente dei topi – «Sì, perché la Poggi nel film ne ha subite di ogni colore…» commentava Canevari – Konrad la colpisce nel ventre durante questa sevizia e la poveretta rimette sugli animali. Nella teratologia del film sono inoltre da comprendere prigioniere mestruate date in pasto a dobermann famelici e altre gettate nella calce viva, con un effetto che, per quanto semplice, è di grande efficacia. A nessuno, comunque, importa visibilmente nulla di ciò che sta raccontando, da un punto di vista etico o morale o in qualsiasi altro modo lo si voglia definire. A Canevari – lo si arguisce ed era lui stesso per primo ad ammetterlo – interessava raccontare una storia d’amore e se anche il suo cosceneggiatore, Antonio Lucarella, un giornalista, gli poteva tirare in mezzo citazioni colte e cinefile, a cominciare dal Portiere di notte della Cavani, al regista premeva e vedeva solo quell’unione impossibile tra Lise e Konrad.

Una notazione piuttosto interessante proprio sul personaggio di Daniela Poggi si leggeva nella fanzine francese Shoking nr. 2, dedicata al genere nazi. In sostanza, Lise, una volta scelto di vivere, trasformerebbe i propri connotati in quelli di una figura inquietante, che assiste con impassibilità persino alla morte in un forno crematorio della sua più cara amica. Ma la scelta di usare la Poggi in questa chiave marmorea, impassibile, atarassica, fu funzione dei mezzi dell’attrice che erano quelli che erano e che Canevari usò saprofiticamente per il bene del film. Una questione più tangibile e complessa riguarda le versioni che sono arrivate a noi dell’Ultima orgia del Terzo Reich. Delle scene hard conclamate girate nello sverginamento di massa in palestra non è rimasta traccia alcuna, salvo qualche foto. Mentre a finire nel mirino della censura all’epoca furono la sequenza dei ratti, quella della ragazza immersa nella calce e il pasto con la carne dell’ebrea flambé – tutte poi reintegrate e presenti nelle edizioni attuali. Non si spiega invece chi e perché abbia oscurato o annebbiato le diapositive che a un certo punto vengono proiettate ad istruzione dei soldati per documentare le perversioni degli ebrei in vari ambiti sessuali: nelle copie televisive del film circolanti nei primi anni Ottanta questi ammorbidimenti non esistevano e devono essere stati introdotti – anche se non si capisce per quale ragione – al tempo delle prime versioni italiane in vhs. Il regista andava ripetendo di essersi disamorato del cinema dopo l’insuccesso dell’Ultima orgia del Terzo Reich, in cui avrebbe investito molti danari, perdendoli. Quanto potesse essere costato il film non sappiamo, ma di certo i 260 milioni erotti guadagnati non sembrerebbero affatto alludere a un flop ma a un film che si difese bene. Proprio mentre Canevari girava in una fornace abbandonata nei pressi di Roserio, alle porte di Milano, dove oggi sorge l’Expo, nel castello di Carimate, vicino a Como, il regista-giornalista Fabio De Agostini andava intanto compiendo il suo erossvastika dal titolo Le lunghe notti della Gestapo, prodotto da Oscar Righini, l’uomo che pochi mesi prima aveva importato in Italia Camp 7 Lager femminile di Lee Frost e il cui nome fu spesso e volentieri abbinato a quello di Canevari nel cinema di ambito milanese, anche se in questo caso i due agivano in maniera del tutto indipendente. Un’attore che sul set di Lieben Camp si divideva tra le performances hard in palestra e il ruolo del soldato, Tino Polenghi, andò qualche giorno transfuga a Carimate per indossare i panni di Himmler in Le lunghe notti della Gestapo, che rischia di poter essere definito persino un film arthouse nel genere qui preso in considerazione.