Cavie da laboratorio: Guinea pig

Il risultato merita la definizione di shock-u-mentary
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Il ciclo più allucinante mai portato sullo schermo comincia con uno studio sulla resistenza al dolore, passa attraverso una sirena in putrefazione e si conclude con una lotteria di torture.

La serie più atroce mai realizzata, nasce in Giappone nel 1985 e prende il nome di una cavia, Za ginipiggu ovvero Guinea Pig (cavia porcellus), la qual cosa è nello stesso tempo tanto ingannevole quanto esplicativa dello stile del prodotto. Devil’s Experiment (Akuma no jikken) inaugura la serie e ci mostra una ragazza rapita da tre individui e sottoposta a ogni tipo di tortura per studiare la resistenza al dolore. Umiliazioni, pestaggi, olio bollente, unghie strappate sono alcuni dei preliminari inferti alla vittima; attraverso varie fasi dell’esperimento si arriverà alla frantumazione di una mano con un martello e alla lenta e agghiacciante perforazione del bulbo oculare della vittima con un punteruolo. L’apparente amatorialità delle riprese, un montaggio volutamente mediocre e l’assenza di colonna sonora contrastano con l’altissima cura nel make up e negli effetti speciali, trasmettendo un’inquietante senso di realismo. Il risultato merita la definizione di shock-u-mentary dato che l’apparente veridicità è evocata in maniera pseudo-scientifica e senza nessuno spazio per la narrazione. La telecamera indugia sulle violenze e capta ogni atrocità con perfezione chirurgica dando sfogo alla curiosità morbosa dello spettatore.

Oruga Satoru dà il via alla produzione dei Guinea Pig girando questo primo capitolo, poi lascerà la sedia di regista per continuare però in veste di produttore anche nei due capitoli seguenti. Il secondo episodio è una festa di sangue che renderà celebre (e famigerata) la serie in patria e in occidente. In Giappone il serial killer Miyazaki Tsutomu viene arrestato agli inizi degli anni ‘90 per torture e atrocità su giovani donne. In casa la polizia gli trova alcuni film della serie, oltre a constatare che il modus operandi del maniaco si rifà ad alcune sequenze dell’opera. In occidente, nel ‘91, l’attore Charlie Sheen visionerà occasionalmente questo secondo film e lo scambierà per un vero snuff, allertando l’FBI. Flowers Of Flesh And Blood (Chiniku no hana), questo il titolo, arriverà quindi davanti a un tribunale per chiarire la propria artificiosità. Inutile dire che dopo il coinvolgimento del serial killer e la testimonianza di Sheen, questi piccoli film della durata non superiore ai tre quarti d’ora diventano l’incarnazione del male per i fan del gore più estremo. Flowers of Flesh And Blood prende il titolo da un fumetto estremo del regista, Hideshi Hino, disegnatore noto in patria per lavori cruenti quali Hell Baby, Hino Horrors e Panorama Of Hell. Nell’episodio osserviamo un’altra ragazza rapita, legata a un letto, narcotizzata , fatta a pezzi e sventrata da uno psicopatico omicida vestito da samurai. Non siamo di fronte a brutalizzazioni per lo più esteriori come in Devil’s Experiment, ma a uno stupro profondo della carne. Qui il gore è imperante e gli effetti speciali sono sorprendenti. L’omicida agisce con una cura e una morbosità sconvolgenti, sostituendo a un amplesso la macellazione della giovane vittima, ripresa nei più intimi dettagli: un vero e proprio scempio perpetrato con lame di ogni sorta. Il tutto con la vittima cosciente.

Hideshi Hino si occuperà anche della direzione del quarto episodio, ma è con Masayuki Kuzumi alla regia del terzo film, He Never Dies (Senritsu! Shinanai otoko), che la serie muta standard per la prima volta. Un uomo tenta di suicidarsi senza risultato. Come da titolo, non muore mai e si farà a pezzi lentamente constatando incredulo di non riuscire a morire. Siamo nei dintorni del grottesco in salsa splatter, gli effetti speciali hanno una qualità inferiore rispetto alle prime due opere e sembra quasi che l’autocitazione ironica dei precedenti due capitoli abbia preso il sopravvento. Dopo questa parentesi torna alla regia per la seconda e ultima volta Hideshi Hino, che si occupa del rivoltante Mermaid In A Manhole (Manhoru no naka no ningyo), quarto lavoro che ha come protagonista una sirena intenta a marcire in una vasca da bagno tra pus e liquidi putrescenti. Non c’è traccia di sangue, ma vi è un esempio di putrefazione a tratti insostenibile con tanto di veri vermi e larve sparsi sul corpo dell’attrice.

Se una certa poetica deviata si coglie in Mermaid In A Manhole, come nel finale di Flowers, lo stile Guinea Pig ritorna come semplice pretesto per mostrare sangue e carne in Android Of Notre Dame (Notorudamu no andoroido), di Kuramoto Kazuhito, in cui un novello Dr. Frankenstein, corroso dalla follia , fa a pezzi le sue cavie umane. Questo è forse il capitolo più debole della serie. Non è una sorpresa come nell’ultimo Guinea Pig, Devil Woman Doctor (Peter no akuma no joi-san), di Tabe Hajime, si ritorni alla parodia grottesca, una specie di variety in cui una femme fatale tortura e sevizia le sue vittime come in un gioco a premi. I toni sono smorzati e demenziali, una presa in giro amorale piuttosto pacata anche per quanto riguarda la violenza. Nell’arco di cinque anni, dal 1985 al 1990, questi sei capitoli sono diventati i rappresentanti più noti dell’ultraviolenza asiatica e continuano ad attirare folle di fan del gore più spinto.