Aspettando The Visit

Una variazione Point of View sul tema di Hänsel e Gretel

Scottato da una serie ormai troppo lunga di insuccessi, in cui prima la critica e poi il pubblico lo hanno gradualmente abbandonato, Shyamalan tenta la via del riscatto ritornando alle proprie origini, alle atmosfere meno eteree e più orrorifiche dei suoi primi film, quelli che hanno avuto più successo lanciandolo nello stardom degli autori del fantastico, prima della sua parabola discendente culminata con il bagno di sangue di After Earth. Shyamalan aggiusta il tiro, sapendo che il mercato non può concedere così tante opportunità, neanche a uno che ha diretto Il sesto senso, e riduce le ambizioni, passando dalle grosse produzioni mainstream a budget più ridotti (5 milioni) con The Visit, piccolo horror in uscita negli Stati Uniti a settembre e prodotto dalla Blumhouse. Apparentemente, Shyamalan, che scrive e dirige, cerca di percorrere una strada dalle solide fondamenta verso il successo, cavalcando la moda degli ultimi anni, il POV – di cui però aveva già fatto intravedere tracce sparse sia in Signs (la festa brasiliana con ospite a sorpresa) sia in E venne il giorno (gli attacchi animali allo zoo) – e mettendosi sotto il rassicurante ombrello produttivo della casa di Jason Blum, forte dei maggiori successi del genere dei tempi recenti (da Paranormal Activity a Sinister, tra gli altri).

La storia di The Visit, conosciuto anche con il titolo di lavorazione Sundowning, è un adattamento moderno, per niente velato, della favola di Hänsel e Gretel: due bambini fanno visita ai propri nonni perché la madre deve andare in vacanza e hanno finalmente la possibilità di trascorrere un po’ di tempo con loro. I nonni, dal canto loro, sono contenti ma chiedono ai bambini di rispettare un’unica, semplice regola: non uscire dalla propria camera dopo le 21:30. Ovviamente i bambini, incuriositi da strani rumori notturni provenienti dal corridoio, violano subito la regola e trovano la nonna nuda in corridoio a grattare freneticamente il muro con le unghia. I bambini, spaventati, ne parlano col nonno. Lui nega categoricamente che la nonna abbia qualcosa che non va, ma da lì a poco anche lui comincerà ad assumere comportamenti bizzarri, come se controllato da una forza estranea, mentre la nonna, come nella favola tedesca di riferimento, invita i bambini a pulire il forno entrandoci dentro. A nulla serve riferire tutto alla madre, perché lei li liquida come esagerazioni su atteggiamenti dovuti alla vecchiaia. Per questo i bambini cominciano a documentare con i propri cellulari gli orrori di cui i nonni sono protagonisti (o vittime) e gli strani fenomeni che sembrano legati al pozzo vicino casa.

I vari trailer ufficiali promettono brividi d’autore e allo stesso tempo uno stile da macchina a mano, tipico del genere, più pulito e intelligibile del solito, così da non costringere lo spettatore a dover ricorrere a farmaci contro la cinetosi. Allo stesso tempo la critica lo attende al varco, pronta a testimoniarne sadicamente l’ennesimo passo falso: c’è chi critica la scelta dello stile “Point of View”, ormai sul viale del tramonto, chi prova a immaginare quale sarà il twist finale, come se un film di Shyamalan si fosse sempre ridotto a questo. C’è da sperare che l’autore indiano abbia semplicemente fatto quello che ha sempre saputo fare: costruire la tensione, merito che anni addietro gli era valsa l’etichetta di moderno Hitchcock – la sequenza della sedia a dondolo con la nonna ripresa di spalle, con chiaro riferimento a Psyco, sembra proprio affermare questo consapevole ritorno alle sue radici.