André Øvredal: da Troll Hunter a Jane Doe

Dalla Norvegia a Hollywood
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Come sei passato da un mockumentary come Troll Hunter a un vero e proprio horror? Considerando la sceneggiatura, la produzione e il cast possiamo dire che The Autopsy of Jane Doe è un piccolo film Hollywoodiano?

È stata una lenta transizione. Volevo proprio fare un horror “classico”. Troll Hunter è un film bizzarro, selvaggio, apparentemente totalmente improvvisato. Come regista ho dovuto fare un passo indietro e fingere che nel film non ci fosse una vera regia, che è una cosa piuttosto innaturale. Poi ho voluto dimostrare di essere un regista con una certa conoscenza in filmaking, e The Autopsy of Jane Doe è stata l’occasione perfetta: due personaggi che recitano di fronte alla cinepresa in un solo ambiente, tutto quello che è il cinema. Qui la voce del regista doveva essere molto forte per rendere il film nel modo migliore. Sono stato obbligato a creare un template visivo per il film, per assicurarmi che la cinepresa fosse sempre nel punto giusto, l’obiettivo era che la storia fosse raccontata dalla giusta prospettiva. Avevo il controllo totale dell’ambiente,  potevo raccontare chi sono queste persone e tutto quello che mi interessa da regista. Era proprio il film che volevo fare.

Come è stato effettuato il Casting di Jane Doe? Avevate pensato da subito a Emile Hirsch e Brian Cox?

Inizialmente Martin Sheen doveva interpretare il ruolo di Brian Cox, ma era impegnato con altri lavori, quindi nel cercare qualcuno che potesse interpretare il ruolo del padre avevamo Brian Cox (Manhunter), in cima alla nostra lista. Gli abbiamo mandato la sceneggiatura, gli è piaciuta ed è salito a bordo. E poi abbiamo iniziato a cercare un giovane che potesse interpretare il figlio, ed è arrivato Emile Hirsh ed è stato fantastico perché c’era questa chimica tra di loro, poteva funzionare. L’ambiente lavorativo è stato caratterizzato dalla calma e dal rispetto.

E per quanto riguarda l’attrice che interpreta Jane Doe, Olwen Catherine Kelly, abbiamo letto che ha dovuto fare yoga per restare ore immobile (e nuda) sul tavolo dell’autopsia.

Lei praticava già yoga e alcune tecniche di rilassamento e ha usato queste pratiche per essere a proprio agio sul set, per le poche espressioni facciali che doveva mantenere, per le posizioni in cui veniva continuamente spostata. A volte riesce a dare un’impressione diversa riguardo a chi è, in alcune scene ha un’aura completamente diversa.

Uno dei punti di forza del film è la sceneggiatura. Vuoi parlarcene?  

Non ho scritto io la sceneggiatura, è opera di due scrittori americani (Ian Goldberg e Richard Naing) e spero che sia uno dei motivi per cui il film piace tanto al pubblico, perché è inquietante e spaventosa. Si tratta di una storia incentrata sui rapporti umani, e questo non è scontato: ho letto molte sceneggiature di film horror su ragazzini che vengono uccisi e storie simili, qui abbiamo una relazione di affetto tra due persone reali, un rapporto adulto, che è un aspetto che mi interessava molto e volevo dirigere. Si sviluppa su molti livelli con la scoperta di Jane Doe e di quello che le è successo. Con questa scoperta ci addentriamo nel mondo in cui vivono e lavorano i personaggi: vediamo molte serie TV su medici legali e crimini ma qui ci incentrato sulle loro vite, su ciò che fanno per vivere. Ero affascinato da questa storia, da queste persone e volevo raccontare di un lavoro che è affascinante e interessante.

Quanto tempo ci è voluto per realizzare il film, dai casting alla post-produzione?

Circa 3 anni: 3 mesi di preparazione, un mese per le riprese, abbiamo girato in 28 giorni, un anno di post-produzione, musiche, montaggio, effetti. C’e’ voluto un anno e mezzo perché il film fosse finito, poi dopo qualche mese è stato presentato in anteprima a Toronto.

Per quanto riguarda l’ambientazione, il set sembra un vero obitorio, ma sappiamo che è un set totalmente ricostruito…

È stato costruito in un grande magazzino fuori Londra come un set continuo, così gli attori potevano viverlo e muoversi dentro questo spazio e noi potevamo filmarli in qualsiasi momento. Abbiamo girato tutto il film in continuità, secondo la sceneggiatura. Creare quell’ambiente in quel modo ha avuto un ruolo fondamentale per riuscire a girarlo così. L’obitorio doveva sembrare vecchio e non ri-modernizzato o ristrutturato, ma non doveva sembrare abbandonato.  È un obitorio privato, non doveva sembrare una struttura medica, ma essere lo stesso pulito e ben tenuto. Abbiamo bilanciato i colori, tra il verde e il grigio, abbiamo superfici pulite vissute, sappiamo che i personaggi sono i proprietari di questo luogo. Il corridoio è come la arteria centrale e volevo che ogni stanza avesse delle caratteristiche identificabili, anche per la carta da parati abbiamo dato l’idea che ci fosse un tocco femminile. Doveva essere un posto familiare, caldo, che poi, una volta spente le luci, diviene misterioso e spaventoso. Abbiamo lavorato molto con il legno per ottenere questo risultato e bilanciare la prima parte, rassicurante e calma, con la seconda, oscura e spaventosa.

Parlando degli effetti speciali, come hai lavorato sugli effetti reali e sui digitali?

Abbiamo lavorato settimane per creare e modellare le parti del corpo, per poi inserirle nel corpo. Tutte le parti del corpo sono state create appositamente da un team capitanato da Stephen Coren (Il Signore degli anelli, Harry Potter e il prigioniero di Azkaban) e Scott McIntyre (Guida galattica per autostoppisti, Il nemico alle porte): dovevano avere un certo aspetto e rivelare l’età esatta, avere la consistenza giusta al tatto, così da risultare incredibilmente realistici. Inquadrati dalla macchina sembrano ancora più reali! È stata un’esperienza molto divertente poter realizzare degli effetti speciali “umani” come quelli. Per altri effetti abbiamo dovuto fare ricorso al digitale,  ad esempio per interrompere il respiro di Jane Doe, nonostante lei stesse respirando in maniera impercettibile c’era ancora qualche piccolo movimento che abbiamo dovuto eliminare. Abbiamo dovuto lavorare mesi per rendere ogni suo muscolo immobile. È un lavoro enorme per un film a basso costo.

Negli ultimi anni molti horror low budget hanno avuto un enorme successo, basti pensare alla produzione della Ghost House Pictures, o alla Blumhouse. Cosa pensi del nuovo horror?

Penso che sia fantastico che ai registi venga data la possibilità di fare questi piccoli film che poi risultano incredibili. La pressione che avresti con le Major è leggermente alleviata, puoi sperimentare maggiormente. Puoi tentare la sorte con questi film, per uscire dal coro devi farlo. Spesso sono i produttori stessi che ti incoraggiano a osare, almeno per The Autopsy of Jane Doe è successo questo: mi hanno incoraggiato a renderlo unico e originale, “non vogliamo il classico horror” dicevano. Fare un film con un piccolo budget ti dà anche la possibilità di fare cose divertenti. Vi sono molti horror meravigliosi ora, da Paranormal Activity a Insidious, Sinister… A partire da Saw e fanno tutti parte dello stesso mondo.

Qual è la cosa che ti interessa di più quando realizzi un film?

Mi piace raccontare, mettere insieme una storia che sia cinematograficamente interessante. Voglio sempre ricreare quello che amo, quello che provavo io quando ero piccolo coi primi horror al cinema. Voglio parlare di qualcosa che va oltre la comprensione umana, oltre la realtà. Anche come le persone si approcciano a storie strane, folli, un po’ come l’elezione di Trump (al momento dell’intervista sono le 12:00 del 9 Novembre a Los Angeles)!

Quali sono i tuoi prossimi progetti?

Sto lavorando a un film chiamato Mortal, è una storia che ho scritto personalmente, sarà girato in Norvegia. È un film di avventura, un film di azione ma anche una storia d’amore con elementi soprannaturali. È ispirato alla mitologia del Nord Europa, sarà girato in parte in inglese e in parte in norvegese.