AHS: Cult – A proposito di femminismo

La serie attraverso la figura femminile
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Da poco si è conclusa su FOX la serie AHS: Cult e, al di là del giudizio globale positivo espresso già in merito, la funzione del femminismo in questo show offre spunti per interessanti approfondimenti. Innanzitutto, la capacità visionaria degli autori di portare nella serie temi caldi al momento giusto, forse anche in anticipo sui tempi, in questo caso quello dell’abuso sulle donne e del maschilismo ancora fortemente imperante. In realtà, la serie era stata concepita, scritta, girata ed edita prima che le rivelazioni su Harvey Weinstein scoperchiassero il pentolone di mezzo secolo di furia femminile repressa. Diversi personaggi incarnano “esemplari” femminili che possono rappresentare allo stesso tempo una provocazione, forse anche un insulto, ma è proprio tramite le esagerazioni che si attira l’attenzione su temi scottanti. Le madri sono spesso causa di danni orribili sulla psiche dei loro figli. Ally, protagonista interpretata magistralmente da Sarah Paulson, è un esemplare da manuale di un certo tipo di femminismo bianco: sposata con Ivy (Alison Pill), anche lei bianca, sono madri di un bambino bianco concepito in provetta grazie a una donazione del seme e co-proprietarie di un ristorante di successo che garantisce loro la presenza nella upper middle class americana, di cui la spaziosa ed elegante casa è simbolo principale.

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L’omosessualità della coppia è “mitigata” proprio dal fatto che  le due donne siano bianche e benestanti. Ally, a dispetto del suo presunto femminismo, non ha però votato Hilary alle ultime elezioni presidenziali, anche se si penserebbe il contrario, vista la sua apparente fede politica e sociale. Esiste, poi, l’argomento “donne arrabbiate” che aleggia ampiamente sugli 11 episodi della serie e che, partendo proprio dalle elezioni americane del 2016, vinte appunto dal maschilista Trump e perse dalla Clinton, ci rivela i pericoli e i trucchi della demagogia; è sempre stato un classico di AHS: prendere spunto da un fatto storico o di attualità per poi seppellirlo sotto un incubo psico-sessuale. Ma le donne che entrano a far parte del Cult, la setta che dà il titolo alla serie, appaiono tutte psicologicamente fragili, e le motivazioni che le hanno spinte a entrare nel club sono molto spesso spie di loro debolezze psicologiche. Un episodio è dedicato al ricordo di Valeria Solanas, la femminista radicale autrice del manifesto SCUM (Society For Cutting Up Men) che sparò ad Andy Warhol tentando di ucciderlo, perché le aveva mancato di rispetto come artista e come lavoratrice. Nella puntata si sviluppa l’urgente necessità, da parte delle donne protagoniste, di staccarsi dalla setta di cui sono entrate a far parte e nella quale ben presto si sono manifestate chiaramente le idee misogine del folle capo Divine Ruler, per fondarne una nuova che abbia come obiettivo l’eliminazione  degli uomini che vogliano ostacolarle e di eventuali loro compagne compiacenti. Come se il logico sviluppo della rabbia femminile come arma politica fosse l’omicidio di massa.

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Certo, è solo satira. Ma una satira accessoriata con tutte le più ripetute predilezioni della serie, inclusa la violenza sulle donne tendente al patologico. Sembra che in questo show nessuna resti inviolata, non importa se da un fantasma vestito di gomma nera o da un uomo che nello stesso momento in cui stupra viene penetrato a sua volta dal fratello della vittima prescelta. Ma la forza di questa satira sul femminismo sta nel fatto che essa, a una lettura meno superficiale, che è sicuramente quella che ci si aspetta dal pubblico di AHS, pone l’attenzione su tutti i razzismi di cui ancora oggi la società occidentale è farcita, a volte anche a sua insaputa, e che trovano il loro comune denominatore nella centralità del maschio bianco. Insieme alle donne, anche gli omosessuali nella serie sembrano avere scarsa  fortuna. Anche per questo il finale, in cui trionfa politicamente una lesbica con una compagna di colore e madre di un figlio da lei stessa partorito tramite inseminazione, vuole essere di grande impatto e suggerisce che sarebbe questa la vera utopia, in un mondo in cui gli esseri di sesso maschile utilizzano ancora la loro unica vera arma, il fallo, per far vedere chi sono.